Home Benevento Timore, ansie e confusione: Inzaghi tradisce anche se stesso

Timore, ansie e confusione: Inzaghi tradisce anche se stesso

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Benevento – Come esistono vittorie e vittorie ci sono sconfitte e sconfitte. Tra i modi di perdere il Benevento ha scelto indubbiamente il peggiore, sfiduciando il credo e le idee definite fondanti dall’architetto del suo progetto tattico. A distanza di ore dalla sfida salvezza persa rovinosamente contro lo Spezia risulta ancora difficile spiegarsi perché la Strega sia scesa in campo con un atteggiamento remissivo, spaventata dai possibili risvolti di un confronto così delicato e rinunciando alla possibilità di allungare su una diretta concorrente.

Abbandonato il 4-3-2-1 a trazione anteriore che aveva contraddistinto le prime uscite – soprattutto quelle contro le big della nostra serie A – il Benevento si è rifugiato in un prudente e mai attuato 4-4-2 di partenza con almeno tre calciatori fuori ruolo. Dabo è stato dirottato a sinistra, Ionita ha agito da mediano e non da mezzala, Insigne addirittura da esterno con poche velleità offensive. Già dalla prima disposizione quella dei giallorossi è sembrata una resa, sarebbe interessante scavare nei perché.

Per quanto plausibile, non regge l’alibi delle assenze di Caprari e Iago Falque, per distacco i migliori giocatori in organico per cifra tecnica. I sostituti naturali nel classico gioco delle coppie erano a portata di mano e rispondevano ai nomi di Sau e Insigne, esautorati dal ruolo di rifinitori e costretti a sacrifici che non hanno giovato neppure a Lapadula, mai come stavolta troppo solo nella battaglia con la modesta difesa spezzina.

Ne è conseguito che il Benevento ha perso la bussola, l’ha letteralmente smarrita. Anche nella fase di prima impostazione difensori e centrocampisti non sapevano cosa fare della palla. Questo nelle poche occasioni in cui l’hanno gestita, certo, perché anche il dato del possesso tutto fa fuorché confortare: 37%. Una sola volta era stato più basso prima d’ora, nel match con l’Inter di Conte che stritolò i giallorossi alla seconda apparizione nel torneo (allora fu 34%).

Lo Spezia, dal canto suo, è stato cinico e inflessibile. La misura della vittoria è chiara e giustificata da una differenza di prestazione, motivazioni e congetture. Sia quelle dettate dal campo che quelle emerse dalla scrivania. Perché la partita del Vigorito ha attribuito una vittoria nella vittoria ai liguri, che in sede di mercato hanno attuato una politica diametralmente opposta a quella della Strega non curandosi degli svantaggi derivanti dai prestiti semplici (valorizzare calciatori di proprietà altrui senza diritti di acquisto) e farcendo la rosa di tanti under per far fronte alle innumerevoli insidie di una stagione resa anomala dall’emergenza sanitaria.

Il risultato è che la differenza nei singoli – sulla carta abissale – finisce per essere annullata da exploit notevoli come quelli di Agudelo e Pobega. Quest’ultimo, a guardare la fisionomia del centrocampo giallorosso e la carenza di gamba e centimetri, sarebbe stato utilissimo alla causa dopo un campionato di B magistrale a Pordenone, giocato peraltro proprio sotto gli occhi del Benevento. Un profilo scartato da Foggia – uno dei tanti per la verità – perché la sua società di appartenenza (il Milan) non avrebbe fornito opzioni alla scadenza. Una politica comprensibile, tuttavia penalizzante nel breve periodo. Ma si sa, col senno di poi tutto riesce troppo facile. Anche avere rimpianti.

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