Il tema dell’immigrazione è oramai divenuto principale nell’agenda politica italiana ed europea. I flussi migratori, “l’invasione” dei clandestini, il sistema di accoglienza: tutte parole con cui gran parte della popolazione italiana si trova a opinare e discutere in maniera continua da qualche anno.
D’altro canto il nostro Paese vive anche il percorso opposto. Parliamo dell’emigrazione forzata e degli italiani residenti all’estero. All’1 gennaio 2017 gli italiani residenti al di fuori dei confini nazionali e iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) sono 4.973.942, l’8,2% degli oltre 60,5 milioni di residenti in Italia alla stessa data. La “popolazione AIRE” è cresciuta, in un anno, di 162.779 unità. Emigrazione economica che coinvolge naturalmente anche la Regione Campania ( 8.074 partenze secondo il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, 3.457 femmine e 4.617 maschi) e la provincia di Benevento che va a braccetto con il fenomeno dello spopolamento dei piccoli borghi.
Sempre secondo i dati forniti dalla Fondazione Migrantes sono 6 i piccoli comuni campani inseriti nella classifica dei primi 50 centri da cui provengono i cittadini iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero. Due della provincia di Salerno: Castelnuovo di Conza e Santomenna, due della provincia di Avellino: Conza della Campania e Cairano, Gallo Matese in provincia di Caserta e Castelvetere in Val Fortore nella provincia di Benevento. Dal Comune fortorino sono ben 1.857 le persone partite in cerca di fortuna, e solo 1.168 i residenti attuali.
Tra le mete considerate più appetibili dagli italiani per l’espatrio, nel 2015, si registrano il Regno Unito, la Germania, la Svizzera, la Francia, gli Stati Uniti d’America e la Spagna, paesi che assorbono, nel complesso, il 65% del totale delle cancellazioni di italiani per l’estero (66.664 su 102.259 in termini assoluti). Oltre alla conferma delle destinazioni più tradizionali e di quelle più recenti, ma che da qualche anno sono annoverate nella graduatoria delle prime venti destinazioni, come Cina e Romania, emerge anche una nuova propensione a migrare verso gli Emirati Arabi Uniti, con un aumento, degli italiani emigrati negli ultimi due anni di circa il 20%. Dei sette emirati i principali punti d’approdo sono Abu Dhabi e Dubai.
Gli italiani emigrati negli Emirati Arabi Uniti sono in prevalenza uomini, provenienti per il 18% dal Mezzogiorno.
A differenza di altre regioni del centro-sud, la Campania ha vissuto in maniera rilevante entrambe le grandi fasi migratorie della diaspora italiana: quella tra il XIX e il XX secolo, diretta soprattutto oltreoceano, e quella fordista, dal Secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Settanta.
A queste va aggiunta una terza fase, grosso modo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e attualmente in corso. Le classi dirigenti della neonata Repubblica, in linea con le gestioni del passato, tentarono con alterne fortune di mettere in atto, implementandolo, lo stesso sistema posto in essere in età liberale: investire nelle strutture dell’emigrazione.
Dopo i porti toccò alle stazioni e, dal 1948, ai Centri Emigrazione. Di questi ultimi, quello di Napoli, insieme a quello di Genova e Milano, fu uno dei più importanti e ospitava alcune delegazioni dei paesi con i quali l’Italia aveva sottoscritto accordi di reclutamento e doveva servire a gestire l’emigrazione verso vecchi e nuovi sbocchi transoceanici.
Questa emigrazione si esaurì in pochi anni, lasciando il campo al flusso verso l’Europa continentale. Nell’ultimo decennio (2007-2016) il bilancio migratorio della regione Campania purtroppo conferma e certifica una nuova e consistente mobilitazione: al Censimento del 1951 l’età media della popolazione italiana era di circa 30 anni, con una struttura demografica simile all’Albania, Tunisia o Turchia di oggi. Al contrario, l’Italia attuale ha una struttura demografica che supera per invecchiamento il Giappone e la Germania e la provincia di Avellino, insieme a quella di Benevento, è tra le più anziane della Regione Campania e al di sopra della media nazionale. Se l’indice di vecchiaia in Italia è pari al 161,4% (117% in Campania), in Irpinia raggiunge il 164,2%. D’altronde, se un comune medio irpino (circa duemila abitanti) perde 25-30 residenti l’anno, i comuni al di sotto dei mille, tra il 2030 e il 2065 sono destinati, inesorabilmente, a divenire polvere. Questi dati sono indubbiamente indicatori demografici, ma nella sostanza sono la rappresentazione di una difficoltà strutturale che ha radici ben più profonde e lontane.