Benevento – Ultima udienza dell’anno per il processo “Mani sulla Città” che, ricordiamo, nasce dall’inchiesta del sostituto procuratore Antonio Clemente e della digos su appalti e forniture di beni e servizi di Palazzo Mosti che ha coinvolto diversi funzionari, dirigenti ed ex amministratori dell’Ente e che causò nel 2013 un vero e proprio terremoto politico in città.
Ben 48 gli imputati, di cui 33 già interessati dalla prescrizione per alcuni capi d’imputazione a cui si aggiungono alcune società che avevano eseguito i lavori oggetto anch’esse di contestazione e che vede posizioni differenziate dei vari imputati rispetto ai reati di corruzione, concussione finalizzata ad avere consensi elettorali, e truffa.
Questa mattina si attendeva la conclusione dell’istruttoria dibattimentale ma il Pm Assunta Tillo ha rigettato la richiesta di alcuni legali degli imputati di ritirare dei testimoni attraverso l’acquisizione di documentazioni e dunque sarà necessario ritornare in aula il 17 gennaio per ascoltare gli ultimi 11 testimoni della difesa. Successivamente, il 28 febbraio e il 28 marzo, si procederà alla discussione dell’accusa, del legale di parte civile e dei difensori per poi giungere alla sentenza il 18 aprile.
Intanto quest’oggi l’escussione dei testimoni presenti in aula ha riguardato principalmente le posizioni di Luigi Boccalone e degli imprenditori Mario Siciliano, Luigi Tedesco e Pietro Ciardiello e delle ditte a loro collegate che eseguirono i lavori di Parco Cellarulo, del centro storico e del quartiere Pacevecchia.
I primi tre testimoni a rispondere alle domande di Pm e difensori sono Gianluca Mannato, Nazzareno De Nicola e Bruno De Figlio, tecnici che hanno raccontato della relazione intercorsa tra Luigi Boccalone e l’imprenditore Fragnito, confermando un rapporto di lavoro tra i due: “Fragnito mi raccontò che era cliente dell’avvocato Boccalone e che gli aveva fatto dei lavori e che chiaramente non poteva chiedere dei soldi perché magari se li faceva scomputare”.
Poi tocca a De Figlio: “Fragnito mi chiese dei consigli legali sul mattatoio a Campolattaro perché doveva ricevere dei soldi dal Comune ma ancora non riusciva ad averli. Così gli presentai Boccalone per l’assistenza legale. Poi Fragnito mi disse che voleva risolvere bonariamente quindi non so se è diventato suo cliente”.
Dopo la posizione di Boccalone l’attenzione si è spostata sull’escussione di testimoni sui lavori al Parco Cellarulo.
Dopo la testimonianza dell’ingegnere Rainone, redattore della consulenza tecnica sulla bontà dei lavori del parco: “Ho fatto sopralluoghi, i lavori erano stati eseguiti ma danneggiati dall’inondazione”, è toccato al responsabile del cantiere di Parco Cellarulo, il geometra Lucio Brettone, rispondere al difensore e al PM:
“L’Architetto Scocca era il direttore dei lavori e saltuariamente mi diceva che qualcosa non andava sul cantiere. Era molto contrariato perché il progetto non gli piaceva e proponeva idee e modifiche sul progetto di gara per rendere, secondo lui, il tutto più funzionale. Quindi i lavori rallentavano e dovevamo modificare delle cose, soprattutto il tipo di materiali che venivano scelti da lui. L’azienda non era sempre d’accordo ma in questi casi si cerca di accontentare il committente”.
A Brettone viene chiesto se tali varianti al progetto avessero avuto ripercussioni sulla contabilità: “Della contabilità se ne occupava il geometra Boschiglio che poi passava il tutto all’architetto Scocca, non era compito mio. Io aiutavo Boschiglio nel prendere le misure. L’opera presentata in gara era stata modificata più volte ma senza disegni, si andava avanti così: alla giornata”.
Infine Brettone parla del rapporto tra Scocca e l’amministrazione comunale. “Il rapporto era conflittuale tra Scocca e i dipendenti comunali, c’era del distacco e non dava giudizi positivi. Altre persone dell’amministrazione non le ho mai viste in cantiere, al massimo prima dell’inaugurazione, nella fase finale, venne l’assessore ai lavori pubblici Aldo Damiano per vedere come si stava proseguendo con i lavori. Rispetto al progetto iniziale non era completata solo la parte relativa agli scavi archeologici ma il resto del parco era funzionante e accessibile e infatti venne aperto al pubblico. Il tutto venne lasciato all’abbandono dopo l’esondazione del fiume Calore”.
Infine è toccato a Ciro Orazio Durante, che si occupava di rilevazioni e dell’approvvigionamento dei materiali sul cantiere del Rione Pavececchia, rispondere sui lavori effettuati dalle ditte di Ciardiello e di Siciliano. Parliamo, tra gli altri, della rotatoria e dei marciapiedi di via Aldo Moro: “I lavori effettuati vennero fatti in buona parte secondo il progetto, solo alcuni cordoli non erano previsti ma il direttore dei lavori ci chiese di farli e noi da meri esecutori li eseguimmo”.
Istruttoria, dunque, ancora da chiudere ma quest’oggi un primo finale di questo lungo processo pare aver avuto una data certa; il 18 aprile, infatti, si arriverà a una sentenza.