Sant’Agata de Goti (Bn) – Un gesto di pace tra due donne. La carezza della brigatista Adriana Faranda ad Agnese Moro è stato il momento più intenso, drammatico e coinvolgente dell’incontro avvenuto nella Cattedrale di Sant’Agata de’ Goti tra una dei carnefici e la figlia della vittima di uno dei tanti eventi terribili degl’anni di piombo, quello più devastante, e cioé l’attentato allo statista della DC Aldo Moro. Il giorno del suo rapimento, morirono cinque uomini tra poliziotti e carabinieri, componenti della sua scorta in via Fani a Roma; era il 16 marzo di quaranta anni or sono.
L’incontro tra l’ex capo della Colonna romana delle Brigate Rosse che condusse il più grande attacco al cuore dello Stato e la figlia dell’uomo capace di delineare una complessa strategia politica per il governo del Paese nel mare tempestoso della Guerra Fredda e del mondo diviso in due blocchi contrapposti, con l’obiettivo di mettere insieme attorno ad un tavolo i cattolici e i comunisti, è avvenuto nel primo pomeriggio di oggi, nell’ambito della prima Giornata Regionale Commissione Giustizia e Pace, organizzata dal Settore Regionale Pastorale Sociale e il Lavoro, Giustizia e Pace, Custodia del Creato.
In un’atmosfera carica di tensione e di cupi ricordi in tanti si sono ritrovati nella Cattedrale saticulana per un evento fortemente voluto da monsignor Domenico Battaglia, vescovo della Diocesi di Cerreto Sannita-Telese Terme- Sant’Agata dei Goti, che ha chiamato tutti a riflettere su un tema assai arduo:
“Attraversare i conflitti: un’esperienza di giustizia riparativa”. In un Paese come il nostro, che ancora non ha fatto i conti con il proprio passato, non solo quello delle Brigate Rosse o delle altre formazioni di estrema destra ed estrema sinistra che insanguinarono piccoli e grandi centri per lunghi anni, ma anche più indietro nel tempo fino a giungere al Fascismo, la proposta di un gesto di pace da parte del Vescovo è comunque assai impegnativa.
E’ vero che la Faranda non volle che Moro fosse ucciso; è vero che l’ex “postina” delle BR ha da tempo rinnegato quelle tragiche scelte del suo passato politico ma il suo nome desta comunque un profondo senso (quanto meno) di disagio in molti. A testimoniare dunque l’eccezionalità dell’incontro tra la Faranda e la figlia di Aldo Moro che si è vissuto in Cattedrale a Sant’Agata de’ Goti è stato il parterre delle Autorità presenti: l’Arcivescovo Metropolita mons. Felice Accrocca, il Prefetto Francesco Cappetta, il Questore Guseppe Bellassai, il Comandante provinciale dei carabinieri Alessandro Puel, quello della Guardia di Finanza Mario Intelisano.
Questo evento in Cattedrale non è stata una discussione sul tema della pace tra protagonisti assoluti, su opposte sponde, ovviamente, di una vicenda di odio, non era una discussione accademica ed asettica; piuttosto era un dialogo fatto letteralmente di sangue e lacrime che non si sono fermate ancora dopo 40 anni. Ma certo non si è mai nemmeno fermato lo sforzo quasi sovrumano di capire, di superare l’odio, di cancellare la barriere dello scontro. Nessuno potrà e nessuno dovrà dimenticare quel terribile 16 marzo e i 55 giorni di una lunga agonia in una “prigione del popolo” dello statista Moro prima dei colpi di mitraglietta al cuore; ma tutti dovranno lavorare per superare le barriere dell’odio in uno sforzo supremo per il perdono.
L’incontro tra le due donne all’interno della Cattedrale, nonostante questo passato traumatico, è sembrato essere come normale, quasi casuale tra due persone chiamate ad esprimere una loro opinione sul tema del superamento dei conflitti. Agnese era seduta accanto a ad Adriana; Adriana era seduta accanto ad Agnese: come tante altre donne, in ogni momento siedono una accanto all’altra. Il dialogo tra Agnese e Adriana è stata condotto, aiutato, sollecitato, confortato da Padre Guido Bertagni, un gesuita.
Moro ha iniziato il suo discorso partendo da “quella” mattina. Dei cinque uomini massacrati a colpi di mitra, Agnese ne conosceva molto bene quattro, su tutti il maresciallo Leonardo, un vero amico di famiglia; il quinto non l’aveva mai visto perchè difatti si trovava a via Fani quasi per caso dovendo sostituire un altro poliziotto: quindi, per Agnese fu un giorno comprensibilmente “molto doloroso“, anche se si seppe subito che il papà era vivo ed era stato portato via in ostaggio, da qualche parte, in macchina. Agnese ha ricordato il dolore di quelle ore e soprattutto il fatto che le sembrava incomprensibile quella violenza da parte delle BR.
“E’ la dittatura del passato”, quella che il gruppo terrorista rosso portò nella storia italia; “una scelta incomprensibile, che mi procurò dolore ed angoscia”. Poi dopo i quasi due mesi di vera e propria agonia, la “morte di mio papà, che era il mio mondo, mi provocò in quei momenti oltre ad un comprensibile sentimento di odio, di rabbia, ma anche sensi di colpa. Infatti, nei mesi successivi, mi sono sempre addossata la colpa di non aver fatto qualcosa di più per salvare la vita a mio padre”.
Agnese ha parlato della sua sete di giustizia, che però non deve essere confusa con un sentimento di odio verso i carnefici: la loro morte non avrebbe affatto placato il proprio dolore. “Io sono sempre stata allergica al perdono” – ha detto con forza Agnese, in uno dei passaggi più dolorosi del suo intervento in Cattedrale: “ma il male che provavo dentro di me si doveva fermare“.
Agnese ha quindi raccontato un episodio ancora vivo nel suo ricordo: un amico la convinse ad avere un incontro con alcuni ex terroristi per cercare di capire cosa li avesse portati a nutrire tanto odio e a causare tanto dolore. Ebbene, ha incontrato anche la Faranda e capì che non avrebbe potuto continuare a nutrire odio nei confronti dei carnefici del suo papà.
Ha quindi parlato la “ex postina” delle BR. Adriana ha detto che la “stagione di piombo” fu terribile ed incommentabile, riconoscendo dunque la colpa di quei giorni. Faranda ha poi ricordato quella che lei stessa ha classificato come “insufficienti” delle sue stesse risposte alle domande esplicite e tragiche che le rivolgevano i parenti delle vittime circa i tragici fatti di quegli anni passati nel buio del terrore quotidiano. “Le nostre risposte non hanno colmato l’enormità delle domande dei parenti delle vittime. Io non ho mai rimosso nulla della mia vita e mi sento responsabile di quello che adesso vive e di quello che vissuto Agnese. Abbiamo provocato violenze e traumi profondi ed anche tornare indietro è difficile e non si può fare. Abbiamo commesso azioni abominevoli e senza umanità. L’uccisione di Aldo Moro la ritengo una cosa abominevole, un orrore, senza umanità. L’uccisione di un prigioniero per me non era concepibile. In quegli anni c’è stata una violenza estrema”. Faranda è poi tornata su quei giorni in cui Aldo Moro stava pilontando la costruzione di un Governo aperto per la prima volta ai comunisti, andando in auto verso il Parlamento dove si presentava appunto alle Camere il nuovo esecutivo. “Dovevamo bloccare quella macchina di via Fani, ma non con un’azione militare, ma con una di tipo politico”.
Faranda ha poi rivelato che lei ha trovato in Agnese una persona capace di superare anche la violenza degli insulti e del risentimento che la figlia dello statista nutriva nei suoi confronti: infatti nonostante tutto questo lei ha trovato in Agnese Moro una persona capace anche di tenderle la mano per superare la barriera dell’odio. Come in effetti ha fatto. Poi ha aggiunto: “Ho voluto guardare negli occhi Agnese per cercare di capire almeno una parte del dolore che lei ha provato in questi anni“.