Benevento – Maledetta sosta. E’ bastata una settimana di riposo per interrompere la rincorsa del Benevento. Forse non sarebbe cambiato nulla, la Strega sarebbe caduta lo stesso a Bologna ma al “Dall’Ara” si è vista una squadra profondamente diversa da quella ammirata contro Chievo e Sampdoria. I giallorossi sono tornati a essere ostaggi delle loro paure, palesando difficoltà e limiti evidenti. La formazione di Donadoni non era certamente una corazzata, anzi aveva dimostrato di essere vulnerabile nella prima frazione di gioco. Il palo di Guilherme e qualche buona ripartenza sono però rimaste le uniche tracce di un Benevento rimasto orfano del carisma e della leadership di Fabio Lucioni.
La retroguardia ha ballato: sono riaffiorate le insicurezza di Belec, Costa e Djimsiti si sono smarriti senza il loro faro e Billong, a dispetto di un imponente stazza fisica, ha messo in evidenza tutti i suoi limiti come terzo di difesa. Palacio, non l’ultimo arrivato sicuramente ma un giocatore con undici primavere in più sulle spalle, è stato capace di sfruttarne tutte le lacune. Lecito chiedersi, allora, se fosse stato meglio intervenire subito su un reparto che aveva già perso Antei fino al termine della stagione. Il passaggio alla retroguardia a tre e la spada di Damocle che pendeva sulla testa di Lucioni imponevano almeno l’arrivo immediato di un altro difensore (oltre all’ex Maribor). Si è invece deciso di intervenire in tutti gli altri settori, rivoluzionando una rosa a stagione in corso per provare a compiere l’impresa tanto sperata.
Un calciomercato “estivo” trasportato a gennaio, cercando di correggere gli errori commessi. Le rivoluzioni, però, non sono prerogativa di successo, lo insegna quello stesso Crotone preso costantemente come esempio positivo. I calabresi nella passata stagione hanno ingaggiato solo