Benevento – Canzoni in Francese, Inglese, Italiano, Arabo, e in svariati dialetti come il Bambarà, il Wolof, il Dioulà. I suoni del Sud del mondo, la musica di viaggi, di danza e di condivisione caratterizzano le perfomance di Sandro Joyeux. L’eclettico cantante italo-francese, ieri sera ospite al Morgana Music Club di Benevento, ha portato un bel pezzo di Africa, Sud America e Giamaica, al centro del capoluogo sannita.
Joyeux prova a restituire la musica delle proprie origini a chi è stato costretto a fuggire dal proprio paese a causa di guerre, violenze e persecuzioni. Il suo #WithRefugees tour, con il supporto dell’Agenzia ONU per i Rifugiati (UNHCR), si propone come un ponte tra migranti, rifugiati e italiani.
Il suo timbro vocale, e il suo percorso artistico alternativo sono ben visibili. La storia musicale di Sandro, infatti, nasce per le strade delle città europee attraverso un repertorio che spazia da Bob Marley ai francesi Gainsbourg, Nougaro, Brassens. Reggae, Afro beat, e una collaborazione nella band di Tony Esposito (che questo pomeriggio sarà ospite dell’InCanto di Natale alla Galleria Bosco Lucarelli) per le sei serate napoletane tutte sold out del Tour di Pino Daniele. La sua musica coinvolge e si mescola con quella di Baba Sissoko, Daniele Sepe, Emanuele Brignola, Awa Ly, Pape Kanoute, Madya Diebate, Piero Monterisi, Adriano Bono, Roberto Angelini, Ilaria Graziano, che lo accompagnano spesso dal vivo.
Una serata coinvolgente, divertente, preceduta dalla proiezione del cortometraggio “Ambaradan”, vincitore del premio Migrarti 2017, per la regia di Paolo Negro ed Amin Nour e dal video servizio giornalistico: Tam Tam- La Domenica di Micheal di Vincenzo Ammaliato.
Non solo musica, dunque. Una serata utile anche per non dimenticare quella legge di civiltà che al momento è stata messa nuovamente da parte e giace al fondo del calendario parlamentare, in Senato.
Parliamo, naturalmente, dello Ius Soli, la legge che vorrebbe espandere i criteri per ottenere la cittadinanza italiana e riguarda soprattutto i bambini nati in Italia da genitori stranieri o arrivati in Italia da piccoli.
Da mesi il dibattito sullo Ius soli (nella città di Benevento due gli scioperi della fame per sostenere l’approvazione della legge) è entrato nell’agenda politica nazionale generando, come spesso accade in questi casi, molta confusione nell’opinione pubblica. Il momento appare giusto per fare un po’ di chiarezza sul tema.
L’ultima legge sulla cittadinanza, introdotta nel 1992, prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”): un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Questa legge è da tempo considerata carente: esclude per diversi anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e lega le loro condizioni a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese).
La nuova legge introduce soprattutto due nuovi criteri per ottenere la cittadinanza prima dei 18 anni: si chiamano ius soli (“diritto legato al territorio”) temperato e ius culturae (“diritto legato all’istruzione”).
Lo ius soli “temperato” presente nella legge giunta in Senato prevede che un bambino nato in Italia diventi automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trova legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proviene dall’Unione Europea, deve aderire ad altri tre parametri:
deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
L’altra strada per ottenere la cittadinanza è quella del cosiddetto ius culturae, e passa attraverso il sistema scolastico italiano. Potranno chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.
In attesa e nella speranza che la politica riprenda tra le mani la legge, il perché sarebbe giusto approvare questa norma di civiltà lo lasciamo alle parole di Maarad, un giornalista marocchino che vive in Italia da 18 anni: “Approvare lo Ius Soli farebbe finalmente sparire quelle percezione di sentirsi quotidianamente ospite del Paese che vorresti servire con passione e dedizione. Risultare una possibile minaccia anche quando nessuno può mettere in dubbio la tua integrazione. Sentirsi addosso quell’etichetta di “extracomunitario” perenne. Avere la certezza di non poter mai, nonostante ogni merito, ottenere un posto in prima fila. E questo vale anche per chi in Italia ci è nato e magari nel paese dei propri genitori non ci è mai stato”.
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