“Il dono della libertà. Storia e storie di prigionieri” (Aesse Grafica) è il nuovo libro del giornalista Bruno Menna. Domani sera (mercoledì 19 luglio) sarà presentato nella Biblioteca comunale di Montesarchio, nell’ambito della rassegna Torrestate. Nelle prossime settimane sono in programma altri appuntamenti a Grottaminarda e a Sant’Agata de’ Goti.
È un testo di storia o un romanzo?
«È un racconto storico senza finzione. Fantasioso ma non immaginario. Una narrazione che parte dalla seconda guerra mondiale e arriva ai nostri giorni. Perché si è sempre prigionieri di un mondo che non riesce a superare i confini e le atrocità di conflitti, povertà, persecuzioni, diseguaglianze. E la libertà, come autorevolmente diceva Sandro Pertini, non è mai una conquista definitiva».
La libertà, però, è un bene inalienabile
«Certamente. Ma, spesso, non è un diritto. È un dono che richiede un’affannosa ricerca. È la bramosia che, nel libro, accomuna i soldati italiani finiti nelle mani dei tedeschi o degli alleati, ai disperati che oggi fuggono dall’Africa, per riscrivere il proprio destino».
Chi sono i protagonisti del suo libro?
«Gli internati e i reduci della seconda guerra mondiale. Una questione troppo spesso dimenticata, nonostante abbia lasciato traccia in ogni famiglia. Protagonista è anche l’Italia, ingenerosa e balbettante con i ragazzi che aveva mandato al fronte; incapace o impossibilitata a rimpatriarli e a reinserirli nei meccanismi della vita civile. Protagonista è anche Benevento, dove si sviluppa la trama di un Dopoguerra lacerante e divisivo».
Qual è il target a cui è rivolto?
«Tutti possono approcciare e approfondire questa vicenda. Sia quelli che la ritrovano nei racconti dei nonni o dei genitori, sia coloro che – per dirla con Thomas Mann – sono consapevoli che la terra non è la sede della felicità e men che mai può diventarlo attraverso la guerra».