Benevento – La “Giornata internazionale di commemorazione in memoria delle vittime della Shoah” è la ricorrenza internazionale, più conosciuta come “Giornata della memoria”, che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito il 1° novembre 2005 e che viene celebrata il 27 gennaio. È stato scelto come giorno il 27 gennaio perché, quel giorno del 1945, le truppe russe dell’Armata Rossa fecero irruzione nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando gli ebrei che vi erano rinchiusi e svelando, oltremodo, il punto fino a cui la ferocia nazista si era spinta. Con la Shoah si è posto in essere uno dei più gravi genocidi della storia. Con il termine genocidio (che si ottiene unendo al prefisso geno dal greco razza o tribù con il suffisso cidio dal latino uccidere), coniato nel 1944 da un avvocato ebreo polacco Raphael Lemkin, si intende la metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso una serie di azioni progettate e coordinate per annientare gli aspetti essenziali della vita. Tale politica di deportazione e sterminio fu un fenomeno complesso, che colpì non solo gli ebrei, ma anche altre categorie, come i malati mentali, gli omosessuali, i sinti, i rom, i prigionieri di guerra sovietici e gli oppositori politici del regime. Dopo l’accoglimento del termine “genocidio” all’interno del diritto internazionale, sono stati creati i tribunali internazionali per perseguire il crimine del genocidio. Momento fondamentale è l’approvazione da parte delle
Nazioni Unite della Convenzione per la Prevenzione e Repressione del genocidio. La Convenzione definisce il genocidio come crimine internazionale, che gli Stati firmatari “si impegnano a combattere e punire”. La memoria storica oggi è rinvenibile a piene mani nei libri, nei film, nelle rappresentazioni teatrali, nelle foto, nei documentari, nei monumenti disseminati in tutta Europa, tutto diffuso con abbondanza. Tutte le Istituzioni provvedono ad organizzare manifestazioni. Tra l’infinità di testi ricordiamo: “Se questo è un uomo” (Primo Levi), il “Diario” (Anne Frank), “Il bambino con il pigiama a righe” (John Boyne); “Storia di una ladra di libri” (Markus Zusak), ecc. Molte delle memorie e dei romanzi ispirati alle storie vere di uomini, donne e bambini ebrei sono stati poi riprodotti sullo schermo cinematografico.
Come non citare la genialità di Benigni con “La vita è bella”; “La chiave di Sara”, che narra la persecuzione dei nazisti del territorio francese che il regista Gilles Paquet-Brenner ha diretto rifacendosi all’omonimo romanzo di Tatiana de Rosnay; “Schindler’s list”, il film diretto da Steven Spielberg ispirato alla vicenda di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che salvò migliaia di ebrei in nome della frase tratta dal Talmud “Chi salva una vita salva il mondo intero”.
E la lista potrebbe continuare…”per non dimenticare”. E’la frase più frequente che si ripete ai giovani, perché loro poi la ripetano ad altri, non deve svanire di significato e trasformarsi in un ritornello. La memoria è quella di 6 milioni di padri, madri, figli o amici che hanno commesso l’imperdonabile errore di essere chi erano. La memoria non solo per fissare nella storia quello che è accaduto, ma soprattutto per non ripetere atteggiamenti pericolosi che producono odio e violenza. Forse non basta un minuto di silenzio visto che violenza ingiustificata e intolleranza sembrano imperare nella nostra società. Razzismo, femminicidio, bullismo, cyberbullismo sono delle vere piaghe del nostro tempo. La memoria di un fatto tanto tragico doveva servire per arginare altri fenomeni.
Ma forse abbiamo già dimenticato? La memoria ci deve rendere forti e unirci in un percorso di crescita e collaborazione verso il vivere civile. Allora perché non sottolineare l’importanza di coloro che sono stati dichiarati “Giusti tra le nazioni”, contribuendo nel loro piccolo e a volte mettendo a rischio anche la propria vita per salvare anche un solo ebreo? È questo l’auspicio di noi ragazzi, diventare dei piccoli Gino Bartali, o, come già citato, Oscar Schindler; Giovanni Palatucci, poliziotto italiano che durante la sua permanenza a Fiume ha salvato numerosissimi israeliti e successivamente arrestato e deportato dai tedeschi delle SS; ancora San Massimiliano Kolbe e fortunatamente l’elenco è lunghissimo.
Intanto per ricordare: nel buio di un vagone piombato, Dan Pagis, mentre lo portavano in un campo di sterminio ha scritto a matita:
“Qui, in questo convoglio,
io Eva
con mio figlio Abele
Se vedrete mio figlio maggiore
Caino, figlio di Adamo,
Ditegli che io…”
La poesia finisce così… con dei puntini volutamente incompiuta. Dovremmo finirla
noi, con un epilogo diverso per ricordare quotidianamente solo eroi giusti e non le
vittime di continue ingiustizie.