Benevento – Sulla tavola ci sono le ultime briciole di panettone, residui di un periodo natalizio ormai agli sgoccioli. Le telecamere inquadrano il cielo terso di Cagliari, il pranzo è andato via in maniera frenetica. E c’è chi ha scelto addirittura di saltarlo. Troppo importanti le immagini che arrivano dalla Sardegna. Quando l’arbitro Abbattista fischia tre volte, il telefono impazzisce in un attimo sprizzando notifiche. Ce n’è una che brilla più di altre, la trasmette la solita app: “Con questa vittoria il Benevento ha battuto il suo record di punti in serie A: 22 contro i 21 del 2017/2018”. Da non crederci, con ventidue giornate di anticipo.
Ventidue giornate di anticipo. A volte basta poco per creare un’illusione, generare una speranza che si fa sentimento collettivo. La Strega è decima, guarda più della metà delle avversarie dall’alto verso il basso, sembra lanciata verso grandi traguardi. Ma c’è un dettaglio che solo il tempo ha reso simbolico. Quel giorno è il 6 gennaio, l’Epifania. E tale sarà anche per il nostro campionato.
Con il mercato aperto e la vetrina mediatica tutta per sé, la Strega si specchia e si bea nelle frasi di circostanza dei suoi rappresentanti badando poco a migliorarsi. La frenano i guai di Letizia e la positività al Covid di Schiattarella, due delle pedine più in forma dell’intero torneo, ma i campanelli d’allarme vengono isolati e i problemi rinviati. Dal mercato arrivano un centravanti di belle speranze ma con zero esperienza in A (una scommessa che ci può stare), e un terzino che nonostante le sbandierate “oltre cento presenze in massima serie” ha dimostrato di essere completamente allergico alla fase difensiva, e non solo a quella.
Un immobilismo pagato a caro prezzo mentre le altre si rinforzano con acquisti mirati e rinsaviscono dopo una prima parte di stagione al piccolo trotto. I risultati stentano ad arrivare, i minuti finali sono porte spalancate ai gol avversari, la combattività che aveva tenuto a galla il gruppo nel girone di andata va a farsi benedire. Il Benevento, insomma, sprofonda e rischia di affondare definitivamente prima del dovuto. Il 6 marzo Schiattarella e Insigne vengono alle mani – argomento discusso, chiarito (solo sulla carta) e, ripetiamo, affrontato nel peggior modo possibile dal club -; Pochi giorni dopo ecco la sconfitta interna ‘horror’ nello scontro diretto con la Fiorentina a cui fa seguito l’annuncio da parte di Pasquale Foggia di un ritiro immediato alla vigilia del match dello Stadium contro la Juventus.
Il presidente Vigorito, smentendo il suo direttore sportivo, revoca il ritiro poche ore dopo ottenendo l’effetto di una vittoria che sarà insieme apoteosi e condanna. A Torino, il 21 marzo, il Benevento compie l’impresa che più di ogni altra cosa influirà negativamente sui mesi successivi. Basta dare un’occhiata alle dichiarazioni post partita per rendersi conto di quanto sia stato dannoso il messaggio trasmesso: punto d’arrivo, non di partenza. Tra l’altro il mister – lo stesso che ha abbandonato il campo prima del finale contro il Crotone – con la salvezza ancora tremendamente in bilico e diversi confronti diretti da affrontare, regala all’intero staff un quadro da appendere in salone per celebrare un’impresa unica. Unica sì, ma ancora non legittimata dal traguardo più importante. Non lo sarà mai.
Si va avanti a suon di conferenze stampa in differita, copioni autoreferenziali che paiono pre-compilati e sfociano nel bizzarro. Come quello sui “quattordici tiri in porta effettuati a San Siro” nonostante i guanti immacolati di Donnarumma; o del portiere avversario che “è sempre il migliore in campo” (come il maggiordomo è sempre il colpevole nei gialli, verrebbe da dire). Insomma, se pure fosse vero che la buona sorte ha voltato le spalle al Benevento, il Benevento pare aver fatto ben poco per sedurla. Passa in vantaggio due volte in trasferta contro il Genoa ma si fa subito rimontare facendosi due gol praticamente da solo. Va subito sotto in casa contro l’Udinese e il Cagliari in due gare da approcciare col coltello tra i denti. Sempre al Vigorito si fa beffare da Simy nel recupero, alla prima vera occasione creata da una squadra in dieci e già retrocessa, nella partita che vale un’intera stagione.
Sullo sfondo aleggiano le polemiche arbitrali su Doveri, Mazzoleni, Fabbri, il Var, il concetto di “contatto leggero”, tutte diapositive che pure meriterebbero una sottolineatura, se solo non fornissero un alibi. Ecco, un alibi è esattamente l’ultima cosa che vogliamo fornire a una squadra retrocessa nel peggior modo tra quelli possibili. Affidandosi agli altri e fuggendo dalle proprie responsabilità. Con molta meno dignità del 2018.