Benevento – Ci sono passaggi e passeggi. Quando Cheick Diabaté firmò con il Benevento, nel freddo inverno del 2018, furono in tanti a pensare che fosse qui per caso. Al curriculum di tutto rispetto abbinava un andamento caracollante ben distante dal cliché della punta moderna. In un calcio che viaggia alla velocità della luce, lo spazio per l’attaccante d’area è sempre più risicato. Se poi quell’attaccante mostra le movenze di un trapezista in balia della fune, allora le speranze di una buona riuscita tendono a sparire. Eppure, col Benevento ultimissimo in classifica alla sua prima stagione in A, qualcosa di meraviglioso si concretizzò.
Un gol dopo l’altro. Si presentò con una firma di assoluto prestigio all’esordio (al 90′, contro i rivali del Crotone), fino a inanellare ben tre doppiette consecutive contro Verona, Juventus e Sassuolo. L’ultimo sigillo, da tre punti, lo regalò alla platea del Vigorito nella sfida interna contro il Genoa, ricordata per il toccante omaggio dello stadio alla squadra ormai retrocessa. Otto gol in 11 presenze, uno ogni 83 minuti. E chi pensa che quella media sia stata frutto del caso viene smentito dai numeri stagionali relativi all’ultima esperienza in Iran: dieci gettoni e otto gol tra campionato e preliminari di Champions. Mostruosi.
Il ritorno di Diabaté nel Sannio resta un’utopia, ma il gigante nato a Bamako, la capitale del Mali, è tornato a parlare a France Football del tempo in cui un’aura di invincibilità lo accompagnò per l’intera esperienza italiana, trasformando quello che doveva essere un passeggio in un vero e proprio passaggio. Uno di quelli che, a loro modo, lasciano un segno indelebile: “E’ stato incredibile, mi sono divertito tantissimo. Ogni tanto mi informo su come vanno le cose a Benevento. Ho ottenuto quello che volevo: rispetto, considerazione”.
Il gol al Crotone, a un passo dal triplice fischio, è l’impatto con il pianeta giallorosso. Una sfida sentita, un gol che entrò subito, di diritto, nella storia del club: “Mancavano dieci minuti, eravamo in vantaggio e De Zerbi voleva inserire un difensore. Poi gli avversari pareggiarono, lui si girò verso di me, mi guardò e mi chiese di entrate. Mi allenavo da un mese ma non mi aveva mai inserito. Ho provato una sensazione strana perché lui si sentiva in imbarazzo. Mi chiese se me la sentivo, gli risposi “ma certo, sono qui per giocare a calcio”. A quel punto entrai, segnai e vincemmo”.
Sembra uscito da un fumetto, Diabaté. E’ quel personaggio che non ti aspetti possa risolvere le cose con un colpo di genio. Forse non se lo aspettava neanche lo stesso De Zerbi: “Non mi fece giocare per le quattro partite successive, gli dissi che non mi rispettava come calciatore. Gli dissi di farmi giocare, che la squadra non vinceva e che con me in campo non avrebbe perso. Ero motivato, sapevo che potevo fare bene. Dopo le partite in cui feci gol mi comprò una piccola torta, era sempre buono con me. Mi disse “Quando parli, poi realizzi”. E’ andata così”.
Gli viene chiesto un parere sul razzismo, tema su cui Diabaté esprime un’idea precisa: “Prima di firmare mi dissero che avrei potuto accusare del razzismo in Italia. E’ un problema che esiste, ma non mi ha scioccato. Mi fa incazzare, si, ma credo che in alcuni casi i tifosi facciano versi ai giocatori di colore per farli innervosire. So che fa male, è triste, ma non tutti quelli che lo fanno sono razzisti. Dobbiamo sempre comportarci bene per dare l’esempio ai bambini, è quella la cosa più importante”.
L’amore e l’affetto delle persone resterà per sempre indimenticabile: “Non pensavo che la gente potesse amarmi fino a quel punto. Anche quando andavo a Napoli le persone si avvicinavano e mi ringraziavano. Dicevano che erano felici grazie a ciò che stavo facendo in campo”. E tanti tifosi giallorossi, in un momento così difficile per la vita e per il calcio, proveranno una certa felicità nel riguardare i suoi gol. Come battute piazzate nel mezzo di una scena desolante.
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