Benevento – Le strade si divideranno a fine stagione. Le prossime, molto probabilmente, saranno le ultime cinque partite di Filippo Inzaghi alla guida del Benevento. Un destino segnato, tanto da udire in lontananza l’eco del possibile discorso di commiato. Resta da capire quale dei due testi già preparati bisognerà tirare fuori dal cassetto.
Il primo, quello che tutti vorremmo ascoltare, racconta di una salvezza conquistata che vale come uno scudetto, dopo essere partiti senza i favori del pronostico, indiziati come papabili al ritorno in B. L’altro, quello accartocciato frettolosamente a fine girone di andata, parla dell’onore ritrovato, della credibilità restituita alla Strega dopo la figuraccia di tre anni prima. L’aver lottato strenuamente per la conquista di un traguardo inimmaginabile, togliendosi la soddisfazione di aver fermato alcune big e di aver battuto la Juventus.
Discorsi apparentemente campati in aria. Sono, invece, null’altro che la sintesi delle dichiarazioni degli ultimi mesi. A furia di ribadire di non doverci dimenticare dove eravamo soltanto un anno fa, probabilmente abbiamo iniziato a credere di esserci effettivamente ritrovati in una dimensione troppo grande che non ci appartiene. Probabilmente, dall’alto della sua esperienza, SuperPippo aveva fiutato da tempo il pericolo di potersi ritrovare a un passo dal baratro, sospeso sul ciglio di un precipizio che conduce alla serie B. Se così fosse gli andrebbe dato atto di averci visto lungo, ma la sensazione è di una perenne e perdurante volontà di voler “mettere le mani avanti” (come si dice in questi casi).
Il risultato finale è aver fornito alibi a una squadra capace di dilapidare tutto il vantaggio acquisito nel girone di andata. Di aver instillato nei giocatori la paura e l’incertezza, mettendoli di fronte a una montagna troppo alta da scalare, nonostante si trovassero a buon punto della loro salita. I timori insiti in certe dichiarazioni si sono trasformati in un boomerang pericoloso e perfino la prestigiosa vittoria dello Stadium non è riuscita a fornire la spinta necessaria a una squadra involuta.
E se da un lato sono venute meno le certezze, dall’altro non è mancata la ricerca dell’alibi: dal “Consigli migliore in campo” al “non è da tutti fare venti tiri contro la Lazio“. Parole che non hanno mai racchiuso nel complesso e con pienezza la sintesi delle partite. Basterebbe ricordare, ad esempio, la traversa di Boga o il gol divorato da Raspadori con il Sassuolo e il rigore sbagliato da Immobile o le sostituzione avversarie con la Lazio.
Il copione, insomma, è il medesimo da tempo. Può variare una frase o una parola in base al contesto, ma il succo rimane lo stesso. Qualcosa di semplificabile in una singola frase: “Per salvarsi servirà un miracolo, se dovessimo farcela sarebbe come vincere lo scudetto“.
Viene da chiedersi allora se Inzaghi il suo di scudetto non lo abbia già vinto, ecco perché la fiducia è preferibile riporla nei calciatori, perché la fiammella della speranza non è stata ancora del tutto spenta. Il calendario offre loro l’opportunità di riscattarsi. Tornare da Milano con qualche punto vorrebbe dire molto in termini di salvezza, ma il vero obiettivo rimane la sfida casalinga con il Cagliari. In palio per il Benevento ci saranno quattro punti, perché battere i sardi permetterebbe di avere gli scontri diretti a favore, obbligando la formazione di Semplici a dover superare la Strega nei 270 minuti che mancherebbero al termine della stagione.
Se un destino appare, dunque, segnato, non necessariamente deve esserlo anche l’altro. Potrebbero rimanere a Benevento molti di loro e farlo in serie A avrebbe un senso decisamente diverso. Al resto si penserà più avanti perché adesso “ciò che conta non è tanto da dove vieni, ma dove stai andando“. Un concetto in apparenza fuori contesto, eppure il futuro conduce in due sole direzioni. Quale imboccare passerà dai loro piedi e, soprattutto, dalla loro testa.