Benevento – Non è un periodo fortunato per la città di Benevento. Mesi di inchieste, chiusure indagini, mese di arresti, verifiche. Mesi nei quali sono emersi i segreti più nascosti di ogni persona coinvolta in questi filoni di indagine. Dalla storia di Don Nicola, passando al terremoto che ha coinvolto la Provincia, per chiudere con i fatti di ieri. Lavoro alacre per la Procura di Benevento, ben venga se serve a far emergere situazioni nelle quali è giusto fare chiarezza.
L’ultima in ordine di tempo è la storia legata a Fulvio Rillo, imprenditore sannita conosciuto sul territorio per la sua attività lavorativa e per la sua grande passione sportiva. Una premessa, la stessa che ha sottolineato anche il procuratore Policastro. Non si è ancora al terzo grado di giudizio e quindi alla sentenza ma siamo nella fase iniziale, quella che ha portato ai domiciliari lui e altre tre persone con un fardello pesante sulle spalle. Una storia che deve essere ricostruita anche dal diretto interessato per capire se quanto raccolto in un anno e mezzo di intercettazioni è confermato oppure no.
Resta ciò che è accaduto, una pagina nera e assolutamente dimenticabile per l’imprenditore di successo, sbattuto sui quotidiani per un “vizio”: la gola. Ed è un vizio quanto meno strano per una persona come Fulvio Rillo. Uno sportivo, abbiamo detto, un uomo dei record, uno capace di segnare gol in quantità grazie al suo piede fatato, uno che ha fatto l’esordio in Serie D a 51 anni diventando il giocatore più anziano ad averlo fatto e che da anni lega il suo nome alla maggiore espressione calcistica del Sannio: il Benevento calcio.
Cosa c’entra lo sport con la brutta storia di oggi? C’entra eccome. Un uomo di sport, un giocatore e dirigente di una realtà, com’è stata quella del Torrecuso, che conosce le strategie per il successo. E sa anche la legge principale dello sport: si può vincere e si può perdere. Lo ha imparato sulla propria pelle quando ha portato il piccolo centro sannita fino alle soglie del professionismo. Ha cullato quella promozione in C nel testa a testa con l’Akragas, la squadra del cuore di Angelino Alfano. Un testa a testa finito con la mancata presentazione sul campo nella sfida clou e il mancato avviso alla squadra di casa che ha aspettato in uno stadio pieno, tra smobilitazioni di staff e rosa e accuse varie ed eventuali. Rillo sa che la più grande vittoria è accettare la sconfitta e rendere onore a chi ha saputo fare meglio. Ciò che non è accaduto in questa brutta storia di gare d’appalto, pressioni. Il capitano che avrebbe deciso di fare la voce grossa e aggirare il problema pur di fare in modo che sia la sua rete ad avere la meglio. Ad ogni costo e con ogni rischio. Gli oltre 76milioni di euro di cui parlano le carte sono un gioco per il quale, evidentemente, è valsa la candela. Una candela che si sarebbe spenta tra presunte pressioni, soldi promessi e tentativi di cambiare il verdetto del campo, provando a togliere la coppa dalle mani del reale vincitore. Una rete fatta anche di rapporti, quelli emersi dall’indagine, che non lasciano molto spazio alle interpretazioni. I documenti in mano alla Procura parlano di anni di intercettazioni, video e osservazioni. Documentazioni che fotografano il quadro dei fatti raccontati in Procura.
Ecco perché la considerazione diventa ancora più amara. Può cadere l’imprenditore e l’uomo per debolezze che possono esserci anche se non sono giustificabili mai. In questo caso, se i fatti saranno dimostrati, cadrebbe anche il Fulvio Rillo uomo di sport, quello che non avrebbe saputo accettare il verdetto del campo e cioè che è un’altra squadra è stata semplicemente più brava della sua.