L’INCHIESTA – Il tesoro di Zagaria in Romania

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di Marilena Natale

Da sx: Vincenzo e Nicola Inquieto

Una parte del tesoro di Michele Zagaria sarebbe nascosto nell’Est Europa e a gestirlo potrebbe essere la famiglia Inquieto, da sempre vicina al clan. Un’indagine della Direzione distrettuale antimafia, sta svelando dei dettagli inquietanti. Tutti i capitali del boss potrebbero essere stati investiti in Romania tramite gli Inquieto.

Tutto parte dalle dichiarazioni dell’ex capo clan Antonio Iovine, oggi collaboratore di giustizia. In uno dei verbali, Iovine racconta, parlando della famiglia Inquieto: “Il loro rapporto risale addirittura al 1997-1998 data dalla quale Michele ZAGARIA ha usufruito dell ‘appoggio della famiglia INQUIETO. Infatti si è anche servito del fratello Nicola, acquistando a suo nome una casa a San Cipriano, dove poi fu rinvenuto il fratello ZAGARIA Carmine e dove fu scoperto un nascondiglio”. “Dopo il rinvenimento, per allentare la tensione delle forze dell’ordine, Zagaria Michele, – ha continuato Iovine, – allontanò Inquieto Nicola mandandolo in Romania così affidandosi nuovamente al fratello Inquieto Vincenzo e restò con lui fino al giorno del suo arresto”.

Gli  inquirenti, seguendo la pista rumena, sono arrivati a Pitesti, città capoluogo di Arges, nella regione storica della Muntenia, dove Nicola Inquieto ha creato un vero e proprio impero immobiliare come evidenzia anche la stampa rumena (Clicca qui).

da dx Mario Nobis e Vincenzo Inquieto 

Con Nicola Inquieto in Romania c’è un altro figlio d’arte criminale: Mario Nobis, figlio di Salvatore, alias “scintilla”, da sempre referente criminale del capo clan Michele. Al centro delle investigazioni c’è la Italy costruzioni, società di costruzioni di Nicola Inquieto che sta realizzando numerosi complessi residenziali, proprio a Pitesti. Inquieto, dal profilo eccentrico, non rinuncia a postare sui social l’impero che ha creato e il lusso in cui vive. Tanto ostentare ha sdegnato, non poco, il capo clan e la famiglia che hanno sempre cercato il silenzio attorno ai loro affari. Secondo i magistrati, il clan di Casal di Principe, a partire dal clan Zagaria, prima s’infiltra e poi rileva imprese decotte o in crisi. Puntano in borsa a Francoforte con coperture e prestanome difficili da scoprire. In questo momento di recessione poi, è facile per i clan immettere liquidità:  le mafie non conoscono mai crisi, semmai le benedicono. I capitali, per quanto ora aggrediti in Italia con continui sequestri e confische, sono di dimensioni impensabili. Una montagna di soldi da gestire e investire senza confini. La holding criminale di Casal di Principe fin dagli anni ‘80 è riuscita ad inserirsi, nell’economia dell’Est Europa, ancora prima che crollasse il muro di Berlino. Il muro infatti era caduto, ma rimase in piedi  una struttura di ex agenti segreti e di milioni di armi con cui arricchirsi subito. I contatti con gli ex agenti segreti e la facilità con cui corrompevano e corrompono la burocrazia ha lasciato spalancate le porte di Paesi come Ungheria, Polonia, ma soprattutto Romania: il nuovo Eldorado del clan. Nei Paesi dell’Est è più facile ottenere licenze per i server: poche domande, guadagni assicurati e mazzette per molti. Il clan quindi si arricchisce, attraverso la proprietà diretta o intestata a prestanome locali.

Il denaro gira in continuazione, intorno al business dei giochi d’azzardo online, casinò, poker, lotterie, scommesse e concorsi, sulle puntate che vengono effettuate (spesso illegalmente) da tutto il mondo nei server registrati in Romania e nella rete dei Paesi dell’Est. La Romania è nel mirino degli investigatori anche perché i prestanome del clan, hanno diverse fabbriche (a partire da quelle tessili) nell’area di Timisoara. Nel 2005 fu intercettato un rumeno all’aeroporto di Milano Linate. Da alcuni “pizzini” che il boss Francesco Schiavone, alias “Cicciarello”, cugino di “Sandokan”, gli aveva affidato e che doveva consegnare a parenti e sodali, si scoprì che il clan aveva fabbriche di scarpe.  Oggi Francesco Schiavone “Cicciariello” si è dissociato, ma non vuole collaborare con la giustizia, forse per coprire la miniera d’oro del clan che ancora oggi riesce imporre il suo potere criminale.

   

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