“E’ un’infanzia negata“. Con un velo di lacrime sugli occhi, Alessandro, fratello di Francesco Paolillo, il ragazzino che 12 anni fa scivolò dal sesto piano di uno dei palazzi in costruzione a viale Carlo Miranda, racconta ancora quella tragica giornata. “Stranamente quel giorno Francesco non aveva voglia di uscire, poi gli amici citofonarono. Disse a mia madre che avrebbe fatto presto e invece non è rientrato mai più“.
Sono passati 12 anni e quel vialone di periferia, a poche centinaia di metri dal nuovissimo Ospedale del Mare, non è cambiato, anzi. Passato e futuro, progresso e abbandono. Il quartiere di Ponticelli, periferia est di Napoli, può sembrare il riassunto di una città che da un lato vuole ripartire con infrastrutture e servizi mentre dall’altro c’è lo stesso degrado: i cantieri mai finiti dove i ragazzini passano i loro pomeriggi. “Periferia della città e periferia dell’anima” dice la mamma di Francesco Paolillo.
Gli scheletri dei palazzi sono stati parzialmente abbattuti, ma non del tutto. Intorno, rifiuti di ogni genere, da pneumatici a vecchi stracci e sacchi di immondizia. Anteprima24 si occupò di questo caso solo poco tempo fa, quando, finalmente, quel cantiere abbandonato fu liberato dall’amianto.
Con sacrificio e amore, per mantenere viva la memoria di Francesco, i Paolillo hanno realizzato due aree attrezzate per far giocare in sicurezza i bambini del quartiere. Un campetto di calcio a 5 e un piccolo parco giochi che portano il nome di Francesco per evitare che gli innocenti giochi di bambini finiscano in tragedia.
“Mio fratello – dice Alessandro Paolillo – si arrampicò fin su al sesto piano di quell’obbrobrio edilizio perché sentì urlare un amichetto, aveva paura dell’altezza e non riusciva a scendere. Francesco senza pensarci nemmeno un attimo salì per salvarlo. Poi non sappiamo cosa sia successo, sappiamo solo che è caduto dal sesto piano“.
Dopo l’immenso dolore, la famiglia ha deciso di regalare al quartiere quell’area giochi. “Dopo aver realizzato questo campetto – dice la mamma di Francesco – ogni pomeriggio i bambini mi citofonano e mi chiedono di giocare. Io scendo e li faccio giocare. Così mi sento bene, sento che sto restituendo qualcosa di buono al mondo in cui vivo“.
Oggi, purtroppo, per i bambini di Ponticelli non è più possibile passare il pomeriggio in quell’area attrezzata perché il campetto ha bisogno di manutenzione mentre le giostre sono state vandalizzate oltre ad essere abbandonate tra erbacce e rifiuti. “Noi non abbiamo mai chiesto a nessuno di contribuire alla realizzazione di questo parco. E’ un regalo che abbiamo fatto ai bambini del quartiere ma ora siamo veramente abbandonati, è Ponticelli a essere abbandonata“.
“Io non ho figli piccoli – commenta la signora Paolillo – quello che abbiamo creato è per i bambini di Ponticelli, per far sì che a nessuno accada la stessa disgrazia che è accaduta a mio figlio. Io oggi ho difficoltà ad affacciarmi alla finestra perché mi provoca un dolore immenso vedere quei pilastri grigi dove Francesco ha trovato la morte. Poi – conclude – guardo gli altri bambini giocare a pallone nel campetto e penso: è possibile che doveva morire mio figlio per farvi giocare in sicurezza? Doveva morire un ragazzo pieno di vita, che voleva vivere?“.
Eccola l’infanzia negata. Forse, se 12 anni fa a Ponticelli ci fossero stati parchi e aree attrezzate, invece che scheletri di palazzi grigi e abbandonati, Francesco oggi avrebbe da poco compiuto 26 anni, avrebbe un lavoro e, perché no, forse anche una famiglia.
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