La sanità irpina si rifugia nel Tribunale Amministrativo Regionale e lo fa per ribellarsi, in maniera forte ed ufficiale, all’atto aziendale dell’Asl. La questione appare spinosa e coinvolge due territori geograficamente lontani ma accomunati dalla carenza di servizi sanitari. A denunciarlo sono i cittadini che si vedono quotidianamente privati di un diritto, accanto a loro i sindaci, stanchi di dover combattere contro i mulini a vento della burocrazia.
Dalla Valle dell’Irno, fino all’Irpinia d’Oriente, passando necessariamente per la zona del cratere, la situazione è ormai insostenibile.
A suonare la carica per primo è stato il sindaco della città della concia, Michele Vignola, al quale hanno fatto seguito il collega di Monteforte, Costantino Giordano, e la fascia tricolore di Sant’Angelo, Rosanna Repole. A Solofra, le ragioni dell’opposizione al Tar risiedono nel ridimensionamento dell’unità di Ortopedia, da complessa a semplice, ma anche nella mancata apertura del reparto di rianimazione, e nel flop sull’integrazione del centro diurno psichiatrico con l’altra struttura dell’ex «Landolfi». Forte pure la battaglia per la riapertura del reparto di rianimazione, che prevede già oggi 4 posti.
Ma è in Alta Irpinia che la questione dell’emergenza rischia di assumere un significato ancora più particolare. Se l’Ospedale «Landolfi» dista solo pochi chilometri dalla Città Ospedaliera di Avellino, per gli oltre 70.000 abitanti dei comuni che si estendono da Monteverde a Caposele, l’assenza di un primariato di chirurgia è davvero intollerabile. Cento chilometri di strade non esattamente di prima fattura, in un territorio geograficamente complesso e con un clima che d’inverno complica le cose e nessun correttivo nell’atto aziendale. Chiuso l’ospedale di Bisaccia, nell’ormai lontano 2011, oggi declassato a Psaut, con un’emergenza territoriale che può soltanto disporre i trasferimenti, l’unico punto di riferimento resta il «Criscuoli» di Sant’Angelo dei Lombardi.
Quanto detto non cambia le cose: il reparto di Chirurgia, nonostante tante sollecitazioni, resta struttura semplice dipartimentale. Niente primariato. L’unica struttura presente nel comprensorio, quindi, continua a scontare un’organizzazione carente, figlia dell’assenza del personale – in particolare anestesisti e chirurghi – lasciando di fatto un intero territorio sguarnito. Come se non bastasse, la popolazione è costituita prevalentemente da anziani.
Inoltre da non sottovalutare l’ormai atavico blocco delle assunzioni. Secondo le stime, per rilanciare il «Criscuoli» servono almeno 7 chirurghi, più il direttore. Ma anche medici. Ogni struttura, infatti, arranca nel garantire la continuità dei turni. Proprio chirurgia ha i problemi maggiori, anche e soprattutto in considerazione della necessità di garantire le operazioni in sala, sia d’urgenza che d’elezione.
La palla ora passerà al Tar ed ancora una volta si dovrà chi potrebbe pagarne le conseguenze sarà la gente che vedrà calpestati diritti e bisogni sottomessi alle volontà del potere e della logica del risparmio.
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