Salerno, la fila alle Poste diventa racconto di vita

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Salerno – È l’inizio del mese. L’inconsapevole salernitano medio ha un bollettino postale in scadenza e da pagare. Sceglie di recarsi alle Poste centrali senza prenotazione. ‘Furbamente’ opta per le ore 15. Lui non lo sa ma sta mettendo nel frullatore gli ingredienti per la ‘tempesta perfetta’. Quando se ne accorgerà, sarà fatalmente tardi, già imprigionato nella ‘trappola’ che gli toglierà 70 minuti, nonostante il numerino progressivo – quello per ‘tutte le operazioni’ assegnato dal totem elettronico – non sembri poi così distante. Consapevolezza traditrice. Quel salernitano lo capirà ben presto. 

La dinamica che si crea nell’attesa, tra le persone con lo sguardo fisso ai tabelloni colorati, è allora degna di uno studio di antropologia.

Con passare del tempo si formano piccoli gruppetti di affini: gente che, partendo dal particolare (il motivo per cui è in quel momento in quel posto), racconta al ‘compagno di attesa’ spaccati della propria vita. Quasi per una legge naturale i pensionati allora si avvicinano ai pari età (ma qui è facile, i posti a sedere sono, giustamente, da loro occupati) mentre i risparmiatori sembrano quelli più schivi.

I delegati dalle aziende private, con tanto di pacchi per le spedizioni, sono invece coloro che meno cedono ai fronzoli: sanno qual è il loro sportello, laddove sanno di trovare l’addetta diventata quasi una conoscente. Seguono una fila organizzata in una corsia prestabilita sin dalla opzione sul totem. Infine i ‘prenotati’: ognuno è un ‘primus inter pares’. Mostra il codice a barre che il totem legge e certifica con un numero a parte. La loro è l’attesa mediamente meno lunga. 

Le Poste, che questo micro-cosmo lo conoscono perfettamente, fanno di necessità-virtù: avendo diversificato i servizi ed essendosi aperte al libero mercato, attraverso personale femminile giovane e di gradevole presenza offrono alle persone in attesa la possibilità di sottoscrivere contratti per utenze telefoniche, assicurazioni auto, fibra internet. Qualcuno accetta di approfondire non tanto – si scoprirà – per la reale volontà di cambiare, quanto per… ammazzare il tempo.

Poi ci sono gli extracomunitari. Un mondo a parte. Lo si capisce sin dall’agitazione che mostrano nell’attesa. Coppie ma anche piccoli gruppi parlano a tono alto lingue perlopiù incomprensibili. Agitano fogli mentre ne cercano altri. Alcuni sono stampe, altri sembrano documenti in originale. C’è la signora con una bimba piccola dai capelli intrecciati e con un altro bambino portato nella caratteristica fasciatura del corpo; ci sono due uomini con borse a tracolla e una grossa busta celeste. Man mano si aggiungono altri.

Quando scatta il turno, l’addetta allo sportello sa già cosa chiedere. Comunica l’elenco dei documenti. L’uomo esegue. Quando però chiede il passaporto, lo straniero abbozza la risposta in un italiano stentato. I tono salgono e la comunicazione diventa fitta: lei ribatte che per la definizione della pratica occorre il documento in corso di validità, lui ribatte che quello presentato deve poter andare bene. Nulla da fare. L’addetta ripete più volte un concetto chiaro. Ogni volta è sempre più slow fono a scandire le sillabe di ogni parola: “Non di-pen-de da me. Il si-ste-ma non mi fa in-se-ri-re il pas-sa-por-to sca-du-to. Ca-pi-sci?”.

Quando realizza che non c’è via d’uscita, l’uomo appare affranto. Chiede allora di parlare con qualcun altro e viene indirizzato negli uffici di fianco. L’altro che era con lui, nello stesso tempo (circa 15 minuti) ad altro sportello riesce a portare a termine la pratica.

Quel salernitano in fila con il 236, suo malgrado, ascolta. E un po’ si appassiona pure. Incuriosito dal compito – che ignorava – di perfezionamento, da parte della Poste, dei fascicoli di rinnovo dei permessi di soggiorno per stranieri.

Finalmente il 236 appare sul display. Il bollettino, già compilato, è pagato in 45 secondi. Guarda l’orologio e confronta l’orario con quello presente sul foglietto. Sono trascorsi 70 minuti.

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