Qualche buona idea di Elisa Serafini per provare a salvare il bilancio di Napoli (e non solo)

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NAPOLI – Elisa Serafini: Milano, 1988. Una sfilza di passioni: dal pianoforte all’economia e ai diritti civili. Divulgatrice, giornalista per The Post Internazionale. Già assessore a Genova col sindaco Marco Bucci.
 
“Nel 2018. Dopo un anno, mi dimisi”.
 
Una cosa fuori dal comune.
 
Fuori dal Comune è il titolo del mio libro, nato da un crowdfunding”.
 
Sottotitolo: “Dietro le quinte della politica locale per capire il Paese e costruire il futuro”.
 
“Non è una missione impossibile”.
 
Ci crede ancora.
 
“Il Paese va riformato nei processi e nelle persone”.
 
Vaste programme, per dirla alla De Gaulle.
 
“Vanno riformati i processi di governance incentivandone la trasparenza: no a zone grigie di corruzione e a conflitti di interessi. Sì, per quanto riguarda le persone, a un mix di provenienza politica e civica”.
 
Elisa Serafini è anche la fondatrice del Forum Economia Innovazione.
 
“Dal 2018 un incubatore per le pubbliche amministrazioni. Produciamo modelli di buone pratiche replicabili sui territori”.
 
Un esempio.
 
“Già prima della pandemia avevamo messo a punto un sistema innovativo di smart working”.
 
Qualche buon consiglio per i Comuni coi conti in rosso.
 
“Prima di tutto, sfruttare l’innovazione delle nuove tecnologie. Ed essere trasparenti: i conti pubblici devono essere non solo pubblicati tutti. Ma anche capiti da tutti”.
 
A Napoli sono dichiarati in pre-dissesto dal 2013.
 
“Servono anche politiche di risparmio. Come quella di erogare fondi in maniera corretta. A Genova abbiamo provato a fare la nostra parte”. 
 
Nella città della Lanterna è stata assessora alla cultura e al marketing territoriale: due delle deleghe che qui ha trattenuto il sindaco Gaetano Manfredi.
 
“A Palazzo Tursi decidemmo di non dare più fondi in maniera indiscriminata alle associazioni e alle fondazioni culturali, ma di costruire per loro dei bandi semplificati”.
 
Funzionò?
 
“Io credo di sì, visto che questo sistema è usato ancora oggi e replicato in altri Comuni, come ad esempio La Spezia. Sapevamo come sarebbero stati utilizzati i soldi pubblici. Ma, soprattutto, stavamo riuscendo ad incentivare gli investimenti privati”.
 
Come?
 
“Con un sistema di sponsorizzazioni centralizzato dal Comune, in modo tale da facilitare la rendicontazione degli enti culturali”.
 
Risultato?
 
“Oltre 1 milione di euro immessi nel sistema”.
 
A Napoli, il debito si conta in miliardi: 5, per la precisione.
 
“A Savona, la sindaca Ilaria Caprioglio riuscì nell’impresa di tirare fuori dal dissesto la sua città con un piano di rientro di 5 anni”.
 
Sostiene Manfredi che la legge sul pre-dissesto e sul dissesto degli enti pubblici non funziona: nel 90% dei casi, gli enti che li dichiarano tornano a farlo nel giro di pochi anni.
 
“Può essere un problema sistemico. E si torna al punto di prima: bisogna intervenire sui processi e/o sulle persone che l’hanno prodotto”.
 
“La follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”, il vecchio Einstein.
 
“Bisogna cambiare l’approccio culturale dei politici e dei dipendenti pubblici. Che andrebbero motivati e incentivati a lavorare con efficienza. Ci sono dipendenti pubblici eccezionali che non vengono premiati”.
 
Intanto, c’è un cane che si morde la coda: senza Pnrr, le città rimangono al palo. Per “mettere a terra” il Pnrr, si devono avere i soldi per macchine comunali se non efficienti, almeno funzionanti.
 
“Mettere a terra il Pnrr significa avere progetti pronti ad essere finanziati. Servono capacità e strutture: non è un’impresa semplice. E il rischio che vengano perse delle opportunità è realistico, come già accaduto con molti fondi europei”. 
 
Secondo la Corte dei Conti Europea, a fine 2019, l’Italia era fanalina di coda: li utilizzava solo per il 30,7%.
 
“Proprio per questo, per tradurre in realtà l’occasione del Recovery, servono capacità, tempo, rendicontazioni corrette”.
 
Una sfida.
 
“Che sarebbe un disastro perdere”.
 
Servono nuove idee.
 
“Secondo me, si investe troppo poco nella formazione dei dipendenti. Oltre che in quella degli amministratori pubblici”.
 
Fate presto: si ha tempo fino al 2026.
 
“A questo punto, può aiutare anche un supporto esterno da parte di società e agenzie specializzate”.
 
Ieri, alla convention dei sindaci progressisti e riformisti, Manfredi e molti suoi colleghi non si capacitavano: si prevede un +6% del Pil, ma nelle nostre città vediamo le code alla Caritas. Che fine fa questo Pil?
 
“Serve a rimbalzare dal -8,9% del 2020. Ma non dimentichiamo che serve anche a scontare un trentennio di crescita reale pari quasi a zero”.
 
Non c’è da stare allegri.
 
“C’è da stare ottimisti il giusto, se il trend prosegue verso questa direzione”.
 
Ma non è facile nei panni di un sindaco: qui la Whirlpool chiude.
 
“Sono dell’idea che dovremmo considerare una riforma radicale del welfare e degli ammortizzatori sociali: la bilancia deve essere spostata più sui lavoratori e meno sulle aziende che per definizione si assumono un rischio”.
 
Soprattutto qui al Sud si dice spesso che le multinazionali vengono, aprono godendo di vari incentivi, guadagnano. Salvo, quando gli pare e piace, andare via. Bisogna stringere i lacci?
 
“No. Bisogna incoraggiarle a venire di più e a restare”.
 
Si dice pure che in Italia il costo del lavoro è elevato rispetto ad altri Paesi.
 
“Non credo che sia questo: basti pensare alla Svizzera. Per una azienda, pesano di più i tempi della giustizia civile. Il fisco. La burocrazia”.
 
A Napoli abbiamo risolto come ha dichiarato oggi al Foglio l’assessore al bilancio nonchè ex sottosegretario al Mef Pier Paolo Baretta: “Non dichiariamo il dissesto perchè paralizzerebbe l’economia della città che ruota in gran parte intorno alle commesse dell’amministrazione”.
 
“Quando c’è tanto Stato, spesso si vengono a creare sistemi economici influenzati da dinamiche artificiali. I sussidi vanno bene solo nel breve periodo”.
 
Domani in Senato inizia il cammino della legge di bilancio. Oltre che per San Gennaro, si prega per un maxi emendamento ad hoc che dia ossigeno alle Città Metropolitane “con deficit strutturale tale da non poter garantire servizi adeguati ai cittadini”.
 
“Io sono dell’idea che bisognerebbe puntare davvero sul decentramento. Dando a Regioni, Province o Città Metropolitane vera autonomia fiscale”. 
 
A proposito di servizi, Elisa Serafini promuove anche OperazioneVetro.info, una piattaforma aperta al fine di tenere sotto controllo la spese delle partecipate. Per caso ha avuto contributi da Napoli?
 
“No, ma li aspettiamo con piacere”.
 
Intanto si capisce perchè centrodestra e centrosinistra, a Roma, votano il ddl Concorrenza. E qui si schierano compatte per il no alla privatizzazione delle partecipate.
 
“Io la vedo così: una società o è privata o è pubblica. Ad oggi, spesso risulta un ibrido che non funziona”.
 
I servizi a Napoli sono da terzo mondo, ha appena finito di titolare Le Figaro.
 
“Bisogna scegliere: esternalizzare davvero i servizi, dalla raccolta e il trattamento dei rifiuti fino ai trasporti, a favore di aziende che nascono e vivono sul mercato con capitali privati. O tenerli pubblici davvero”.
 
Ad oggi?
 
“Il sistema delle municipalizzate non funziona: si creano società de facto pubbliche che però adottano meccanismi privati, superando i limiti imposti su appalti e assunzioni. E questo non può funzionare né nel breve né nel lungo periodo”. 
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