L’altra faccia di Via Giuseppe Saragat: “Spelacchio”, politica e povera gente

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Benevento – Via Giuseppe Saragat è una traversa di via Avellino che neanche il navigatore riconosce. Se impostate la destinazione, le indicazioni satellitari vi porteranno al campo Avellola, oggi in gestione al Benevento Calcio. Eppure la zona è cresciuta nel corso negli anni, ha visto sorgere complessi nuovi, si è conquistata un autobus tutto suo, ha visto aumentare i collegamenti. Una zona di semi periferia che ha mantenuto il suo stato di “pacifica residenza” a un passo dal centro cittadino. Non sto descrivendo il luogo incantato, perché questa, in realtà, è una storia triste, scritta sulla pelle dei cittadini, della “povera gente”.
Via Giuseppe Saragat è rimasta per anni nell’anonimato, dopo un valzer durato a lungo per un cantiere bloccato, ditte cambiate ed errori di progettazione. Quei cinque palazzoni inizialmente di colore bianco, rosso e blu li ho visti crescere e nel frattempo crescevo anche io. Da piccolo sentivo i grandi vociferare di un problema “settimo piano”, l’impossibilità di andare avanti con i lavori e consegnare a quasi 150 famiglie un alloggio sognato e desiderato. Diventare finalmente proprietari dopo anni di sacrifici e di affitto.
Io crescevo e tornavano a crescere anche i palazzi, eccolo il settimo piano ed eccole le nuove colorazioni: giallo e rosa. Colori azzeccati perché di rosa non c’è nulla, in un racconto che invece si tinge di giallo. Nel 1998 ci trasferiamo, da allora sono passati 23 anni e la situazione si è trasformata presto in un lento declino. Siamo partiti dai garage, acqua e umidità iniziavano a risalire gonfiando le pareti e facendo cadere l’intonaco dai muri. Ma erano i garage, mica ci dovevi vivere dentro. E si andava avanti con l’idea del “prima o poi si risolverà”. Solo che, nel frattempo, l’acqua iniziava a entrare anche dall’alto, infilandosi in quello che con molto zelo e garbo è stato chiamato “cappotto termico” (sarebbe stato meglio definirlo fin da principio per quello che era: “pannelli di polistirolo attaccati con non si sa cosa”).
Ed eccole le prime camionette dei vigili del fuoco, i primi interventi diventati poi costanti nell’arco del tempo. Togli i pannelli, metti un rattoppo. Novelli karate kid i caschi rossi. Quello che sembrava un intervento eccezionale è diventato la routine. “Spelacchio” (così lo chiamo affettuosamente il palazzo dove sono cresciuto) è ancora là, fortunatamente oserei dire, solo che ora ha un colore indefinito, è caldo d’estate e freddo d’inverno. Non ha un cappotto, ma tanti forellini dove l’acqua continua a penetrare incessante, formando negli appartamenti vistose chiazze nelle pareti.
Suvvia, due lavori e tutto si aggiusta. Cosa ci vuole a sistemare un appartamento di cui non si è ancora effettivamente proprietari. Si, perché ci sono famiglie che l’appartamento lo hanno pagato ma che dopo 23 anni non hanno ancora firmato un atto o ne hanno firmato uno da dover “integrare”. Questa è cronaca dei giorni nostri, perché Via Giuseppe Saragat, intanto, è diventata oggetto di diatriba elettorale. Ed è questa la storia più triste di una già triste vicenda. La “povera gente” ha il torto di fidarsi, di credere alle chiacchiere senza porre domande. Tra quella “povera gente” ci sono anche io, ma qualche dubbio durante il periodo elettorale me lo sono posto: tutte queste persone che ora vengono a Via Giuseppe Saragat, fino ad ora, dove stavano? Questa situazione va avanti da decenni, solo adesso se ne rendono conto?
Invece di fermarsi in strada a fare comizi elettorali (perché questi sono stati), potevano andare negli appartamenti e rendersi conto di cosa significa vivere nell’incertezza. Pensare di non poter fare dei lavori all’interno perché la situazione all’esterno li renderebbe vani con il passare di poco tempo. Attendere invano la chiamata del notaio per diventare almeno proprietari di un qualcosa già pagato. Persone che meriterebbero nient’altro che la verità, perché molta di questa gente non è né di destra, né di sinistra, questa gente ha solo il torto di fidarsi, di credere ancora negli altri. La politica, invece, battaglia a suon di comunicati, mentre il tempo scorre e quei palazzi di via Giuseppe Saragat sono più spogli, fuori e dentro gli appartamenti. Il solo voler pensare a chi ha fatto sacrifici senza goderne, dovrebbe spingere tutti a riflessioni più profonde. Dovrebbe spingere tutti a parlare meno e a fare effettivamente qualcosa. Sperando che un giorno anche a via Giuseppe Saragat, dove tutto tace, si possa festeggiare come nelle contrade.

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