Salerno – “In Italia le donne al vertice delle amministrazioni comunali sono molte poche. Con le ultime elezioni amministrative in particolare, questo numero si è ridotto ancora di più (…)”.
La regola descritta e documentata dal centro studi della Fondazione Openpolis trova l’eccezione al Comune di Salerno. Seppure la giunta non sia stata numericamente completata – non è dato sapere se il sindaco intenderà assegnare ulteriori deleghe – al momento la rappresentanza femminile si attesta al 44.4%. Nel pieno rispetto della legge Delrio (limite minimo al 40%) e della alternanza di genere tra sindaco e suo vice.
Paola Adinolfi (esterna) ha ottenuto la delega al Bilancio; Paola De Roberto (Salerno per i Giovani) la delega alle Politiche Sociali e Politiche Giovanili; Gaetana Falcone (Popolari e Moderati) la delega alla Pubblica Istruzione; Paki Memoli (Campania Libera) quella alle Pari Opportunità e la carica di vice sindaco.
Completano la squadra di governo Michele Brigante (Esterno – Urbanistica e Lavori Pubblici), Claudio Tringali (Esterno – Sicurezza e Trasparenza); Alessandro Ferrara (Campania Libera – Attività Produttive e Turismo); Massimiliano Natella (Partito Socialista Italiano – Politiche ambientali).
Caso-Progressisti a parte, nella coalizione di maggioranza resterebbe un unico riconoscimento da assegnare in termini di delega: quello a Salerno con Voi, forza politica che ha espresso il 3,11% dei consensi e che ha eletto in Consiglio comunale Tea Luigia Siano (foto a lato). Scelta che, inoltre, permetterebbe all’attuale amministrazione di attestarsi al 50% raggiungendo Torino al vertice nazionale in termini di piena alternanza di genere. Vedremo.
I sindaci-donna nei Comuni capoluogo
Prima delle elezioni amministrative di ottobre 2021 erano 10 i Comuni capoluogo di provincia con una donna alla guida della giunta comunale. Una quota decisamente bassa, il 9,26%, che dopo le elezioni si è ulteriormente ridotta al 5,56%.
6 su 108 i sindaci-donna di Comuni capoluogo di provincia
Tra i 6 territori amministrati attualmente da una donna solo uno, Ancona, è capoluogo di regione. In seguito alle elezioni si sono infatti sciolte le giunte comunali di Torino e Roma, fino a quel momento guidate da due sindaci-donna, entrambe del Movimento 5 stelle (M5s). Negli altri casi si tratta di Andria, Lodi, Piacenza, Verbania e Vibo Valentia.
I sindaci-donna in Italia sono sempre meno
Tra città metropolitane, enti locali di area vasta e altre denominazioni nelle regioni a statuto speciale le provincie italiane sono 107. Nella provincia di Barletta-Andria-Trani però il capoluogo è equamente condiviso tra le tre città che le danno il nome. Di conseguenza sono 109 i capoluoghi ma a tutt’oggi il comune di Foggia risulta commissariato.
Sindaci-donna e coalizioni elettorali
Con le ultime elezioni amministrative in nessun Comune capoluogo è stata eletta una donna sindaco. Infatti dei 10 Comuni con un sindaco donna prima delle elezioni, quattro sono andati al voto e in tutti i casi è stato un uomo a subentrare al loro posto.
In tre casi si trattava di sindaco-donna del Movimento 5 Stelle e in uno di un sindaco-donna di centrodestra.
A Roma l’ex sindaco Virginia Raggi, del Movimento 5 Stelle, si è ricandidata ma è stata sconfitta da Roberto Gualtieri del Partito Democratico.
A Torino invece Chiara Appendino, sempre M5S, non si è ricandidata e al suo posto il movimento ha schierato un’altra donna, Valentina Sganga. Anche lei però è stata superata dal candidato del Pd, Stefano Lo Russo.
Allo stesso modo anche a Carbonia il sindaco uscente del M5S Paola Massidda non si è ricandidato. Il Movimento infatti ha sostenuto Luca Pizzuto in coalizione con Articolo 1, il Partito Comunista e il Partito Socialista. In ogni caso però le elezioni sono state vinte da Pietro Morittu (Pd).
Infine anche Ilaria Caprioglio, sindaco di Savona sostenuta dal centro-destra, non si è ricandidata. Al suo posto la coalizione ha schierato Angelo Schirru, ma anche in questo caso a uscire vincitore è stato il candidato del centro-sinistra Marco Russo.
3 su 4 i sindaci-donna uscenti di Comuni capoluogo andati al voto che non si sono ricandidati.
Le donne nelle grandi città
Se nei Comuni capoluogo di provincia andati al voto nessuna donna è stata eletta sindaco è interessante notare che, quantomeno nei capoluoghi di regione, tutti i nuovi sindaci hanno scelto come proprio vice una donna.
6 su 6 i Comuni capoluogo di regione andati al voto alle ultime amministrative in cui è stata scelta una donna come vice-sindaco.
L’alternanza di genere tra sindaco e vice, sembra dunque una prassi consolidata per bilanciare, in misura decisamente parziale, lo squilibrio di genere nelle giunte dei grandi Comuni.
Quanto al numero di donne complessivamente presenti in giunta bisogna considerare che la legge Delrio prevede che in questo organo entrambi i sessi debbano essere rappresentati in misura non inferiore al 40%.
Nelle giunte dei Comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico.
– Legge 56/2014 Art. 1 comma 137
Una circolare interpretativa del ministero dell’interno inoltre chiarisce che per rispettare il principio di parità di genere debba essere considerato anche il sindaco nel conteggio dei membri della giunta.
Nonostante questa norma riduca fortemente la discrezionalità nella scelta del numero di assessori dell’uno o dell’altro genere, i sindaci hanno comunque compiuto scelte differenti, che vale la pena di sottolineare.
L’equilibrio di genere nelle giunte delle grandi città andate al voto
L’unica città ad aver raggiunto la completa parità in giunta (almeno in termini numerici) è Torino. Per raggiungere questo dato il sindaco Lo Russo (Pd) ha nominato più assessori donne (6) che assessori uomini (5). 50% la quota di donne presenti nella giunta comunale di Torino, sindaco incluso.
A seguire Milano, Roma e Bologna. In queste città infatti è stato nominato un numero uguale di assessori di entrambi i sessi ed è solo la presenza del sindaco in giunta a squilibrare il dato a favore della componente maschile.
La differenza che vede a Roma e Milano una percentuale di donne in giunta (46,15%) leggermente superiore a quella di Bologna (45,45%) è dovuta solo al diverso numero di componenti dell’organo. Infatti mentre le prime due città hanno una giunta composta complessivamente di 13 persone a Bologna questo numero si ferma a 11.
Dodici invece i componenti della giunta di Napoli incluso il sindaco. Per raggiungere la parità quindi il sindaco Manfredi avrebbe dovuto nominare più assessori donne che uomini, come avvenuto a Torino. Pur avendo operato per una scelta diversa però Manfredi rientra nei limiti previsti dalla legge fermandosi al 41,67% di donne in giunta.
Diversa invece è la questione di Trieste, unico capoluogo di regione che ha visto il centro destra vincere in questa tornata elettorale. Le trattative in giunta infatti si sono fermate per alcuni giorni, proprio per la necessità di trovare l’accordo su un nome femminile da aggiungere alla rosa degli assessori. Il 4 novembre però il sindaco Di Piazza ha sciolto le riserve nominando un giunta composta da 4 donne su 11, incluso il sindaco.
36,36% la quota di donne presenti nella giunta comunale di Trieste. Meno di quanto previsto dalla legge.
Da un lato dunque la giunta comunale di Trieste risulta a tutti gli effetti composta da una quota di donne inferiore al 40% previsto dalla legge. Dall’altro però l’interpretazione estensiva data da Di Piazza risulta confermata da diverse sentenze del Consiglio di Stato. Il 40% di 11 infatti è pari a 4,4, che arrotondato è 4.
Certo è che questa interpretazione della norma restringe ulteriormente gli spazi che la legge Delrio sembrava aver garantito alla rappresentanza di genere in modo piuttosto chiaro.
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