“Giustizia per i nostri angeli”. Una scritta nera su un lenzuolo bianco e poi le foto di quella maledetta notte, la notte del 28 luglio 2013, quando 40 persone persero la vita sul bus precipitato dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa. Dopo due anni di processo, i familiari delle vittime chiedono giustizia e la chiedono in tutti i modi, anche con clamorose azioni.
Oltre 20 di loro hanno inscenato stamane una protesta davanti al tribunale del capoluogo irpino, dove si è tenuta l’udienza del processo nei confronti di 15 imputati, a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e falso in atto pubblico. Ci sono stati anche momenti di tensione davanti al Tribunale di Avellino all’arrivo dei legali del titolare della ditta del bus.
I familiari delle vittime sono stati protagonisti, in particolare, di uno scambio verbale ravvicinato e duro con l’avvocato Sergio Pisani, che difende Gennaro Lametta, proprietario del mezzo alla cui guida perse la vita il fratello Ciro. In un’altra udienza avevano già gridato “assassino” considerando il titolare dell’agenzia tra i principali responsabili della tragedia.
Fu lui ad affittare il mezzo alla comitiva che era partita da Pozzuoli.
“Ricordati che stai difendendo chi ha sulla coscienza questi morti” hanno gridato i familiari nei confronti dell’avvocato Pisani mostrando le foto dei congiunti scomparsi. La stessa scena si è ripetuta, all’interno di un bar, con i dirigenti della società Autostrade presenti all’udienza di stamattina.
Il bus, immatricolato nel 1985 con quasi 800 mila chilometri percorsi, sarebbe stato revisionato soltanto sulla carta il 26 marzo del 2013 grazie alla compiacenza di un funzionario e di una impiegata della Motorizzazione civile di Napoli.
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