Caro il mio cellulare, la pandemia ci ha cambiati

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C’è chi la definisce una naturale prosecuzione del nostro corpo, un elemento dal quale non riusciamo a separarci, che talvolta ci ingabbia ben oltre il suo carattere di utilità. Parliamo dello smartphone, il discendente del telefono cellulare, che soltanto una ventina d’anni fa si utilizzava esclusivamente per chiamare a casa, inviare messaggi dai costi non sempre sostenibili o sollecitare con uno “squillo” la persona amata. Oggetto raro, erano in pochi a poterselo permettere. E non sempre riuscivano a tenerlo in tasca, visti il peso e le dimensioni. 

Oggi lo smartphone non solo rispecchia uno stile di vita, ma rappresenta una necessità. Tutti ne hanno uno, non si può fare a meno di consultarlo con discreta frequenza né evitare di cambiarlo almeno una volta ogni tre anni, tale è la brama di appropriarsi dell’ultima versione disponibile sul mercato. Abbiamo detto oggi, ma dovremmo dire ieri. Sì, perché rischia di passare sottotraccia la notizia venuta fuori dall’ultima analisi dello studio ricerche Gartner, che ha evidenziato un calo del 20% nelle vendite dei preziosi oggetti nel primo trimestre del 2020, cifra che sarà anticipata dal ‘meno’ con ogni probabilità anche nei mesi successivi. 

La pandemia e il lockdown hanno segnato l’indissolubilità del rapporto tra l’uomo e la tecnologia, che fino allo scoppio dell’emergenza sanitaria veniva visto come un problema a cui porre rimedio. La conseguenza avrebbe dovuto essere una buona tenuta relativamente a questo tipo di mercato, invece è accaduto l’opposto. E tra le varie ragioni non è da ritenere meno importante quella ‘romantica’: evitando le vetrine, ci siamo forse resi conto che non è poi necessario avere l’ultimo modello per tenerci in contatto con gli altri, caricare foto sui social, telefonare, video-chiamare e scaricare applicazioni per tenersi aggiornati.

Non che ci siamo affezionati al nostro smartphone come ad un animale domestico, ma di sicuro abbiamo capito che sostituirlo prima della sua fine naturale non rientra tra i bisogni primari. Se prima ambivamo a un palazzo dorato in cui rifugiarci, ora prevale la consapevolezza di preferirne la funzione di ponte. Finché reggerà, ci condurrà all’interlocutore. E’ l’unica cosa che conta, il suo scopo. Del resto si può fare benissimo a meno. 

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