Sarebbero “del tutto inverosimili” le dichiarazioni dell’indagato sull’arma del delitto, la quale avrebbe avuto invece “un uso programmato ben preciso”, non “fosse altro che per la commissione di reati predatori”, come ad esempio una rapina. A scriverlo è il gip Maria Gabriella Iagulli, del tribunale di Napoli, nel motivare la custodia in carcere di Renato Caiafa. Il 19enne è accusato di porto d’arma clandestina e ricettazione, nell’ambito dell’indagine sulla morte del cugino 18enne Arcangelo Correra, avvenuta all’alba dello scorso 9 novembre in piazza Sedil Capuano (nella foto). A seguito delle dichiarazioni rese, Caiafa è indagato a piede libero anche per omicidio colposo, ipotesi non contestata ai fini della misura cautelare.
Secondo il giudice, il giovane deve stare in cella perché “non solo vi è un pericolo di reiterazione del reato”, ma anche un rischio “evidente di inquinamento probatorio”. E questo benché sia incensurato, e si sia costituito, rendendo dichiarazioni sull’accaduto. Permarrebbero le esigenze cautelari, dettate proprio dalle indagini sull’omicidio. In poche parole, Caiafa “non deve poter entrare in contatto con i ragazzi che erano con lui quella sera”. Questo per evitare “che vengano concordate versioni di comodo”. L’indagato, inoltre, “nonostante il sequestro delle armi, ben potrebbe reperire altre armi sul mercato nero e continuare a detenerle, per poi usarle”. D’altronde, “non si può ritenere che taluno se ne fosse sbarazzato (della pistola, ndr) – argomenta il gip -, in quanto la criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi, difficilmente riconducibili ad un possessore e di certo non le abbandona, dopo averle pagate”. Potrebbero infatti “essere usate mille e mille volte ancora, proprio perché, in quanto clandestine, sono difficilmente ricollegabili ai delitti commessi e ai loro autori”.
L’arma, ritrovata, è una Beretta 92 calibro 9×21. Conteneva 18 proiettili, aveva la matricola abrasa. Per il gip non è “verosimile la tesi” dell’indagato sul “ritrovamento casuale dell’arma, abbandonata sulla ruota di un’autovettura”. I fatti “sono avvenuti di notte – ricostruisce l’ordinanza -, l’arma è nera e, dunque, mai sarebbe stata visibile, qualora abbandonata al di sopra di uno pneumatico — a sua volta nero – al di sotto della carrozzeria dell’auto”.
Ma c’è di più. Anche ammettendo “che l’arma fosse stata lì nascosta, solo chi ne avesse conosciuto il posizionamento preciso avrebbe potuto vederla”. Tanto più “che il Caiafa diceva che quell’arma era la prima volta che l’aveva scorta sulla ruota”. La pistola è risultata essere clandestina, e ha “un enorme valore di mercato”, anche perché modificata. “Nessuno – sostiene il giudice – avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore, per strada alla libera apprensione”.
LA RICOSTRUZIONE DELLE INDAGINI. CAIAFA: “VITTIMA MI HA SFIDATO A SPARARE IN PETTO PER SCHERZO”
Nella ricostruzione investigativa della Squadra Mobile di Napoli, sulla scena del crimine c’erano cinque ragazzi, compresa la vittima. “Si erano visti per trascorrere qualche ora insieme” sostiene l’arrestato. “Si erano incontrati a Piazza Sedil Capuano e – si legge nelle carte – avevano notato che, sulla ruota di una macchina, parcheggiata in piazza da tanto tempo, vi era una pistola”. Caiafa dice di “essersi avvicinato all’arma, di averla presa e di aver iniziato a giocare con l’amico” Arcangelo Correra. “Stava mostrando l’arma agli amici – scrive il gip – quando, improvvisamente, era partito un colpo che aveva ferito
Arcangelo, causandone la morte”. A quel punto, insieme a un altro, ha trasportato la vittima al pronto soccorso. Questo punto è confermato dalle telecamere dell’ospedale Pellegrini. Dopo averlo affidato alle cure dei medici, l’indagato si è allontanato a piedi. “In preda al panico” afferma Caiafa. Alle 11 del mattino Arcangelo è spirato.
Torniamo indietro, agli attimi precedenti lo sparo fatale. Secondo l’indagato, “la pistola era ben visibile” e “l’aveva presa per scherzare”. Ma appena impugnata, “era partito il colpo letale”. La pistola era priva del tappo rosso, ma Caiafa “diceva di aver pensato fosse finta“. Stando a lui, si sarebbe reso contro del contrario “solo al momento dello sparo”. Quando “aveva visto il sangue di Arcangelo a terra“. A sostegno di questo, aggiunge: “Tutto il gruppo di amici (…) aveva visto l’arma”, e tutti “erano consapevoli del gioco che stavano facendo lui e Correra Arcangelo”. Dettaglio non secondario, per Caiafa la vittima “lo sfidava a sparare, mostrando il petto”. In quegli istanti, tutti avrebbero guardato nella loro direzione. Esploso il colpo, gli avrebbero urlato “cosa hai fatto”. Il gip sottolinea il contrasto tra queste parole e quelle dei ragazzi presenti. “Dunque – osserva il magistrato -, sarebbero state false tutte le dichiarazioni rese dai giovani sentiti che avevano riferito di non aver visto alcuna arma e, anzi, di non aver visto neanche il momento dell’esplosione del colpo”. Le versioni fornite dai testimoni, a loro volta, sono ritenute “inverosimili” e “reticenti”.
Non convince il giudice neppure il racconto di Caiafa. “Ha riferito di essersi allontanato dall’ospedale, perché spaventato eppure – considera – , in quel frangente, nella più totale disperazione derivante dall’aver cagionato la morte di un amico fraterno, aveva avuto la lucidità di chiedere allo zio di recarsi sul luogo del fatto per recuperare, oltre al
motorino, proprio l’arma, frettolosamente abbandonata per strada”. Si chiede retoricamente il gip: “Che senso avrebbe avuto recuperare quell’arma e spingere lo zio a commettere a sua volta il delitto di porto di arma abusiva, se quell’arma fosse stata rinvenuta per caso sulla pubblica via e non fosse stata riconducibile (…) proprio a quei ragazzi e a chi quei ragazzi li aveva armati”. E poi ancora: “Perché liberarsi degli abiti indossati”. Insomma tutta la condotta dell’indagato, dopo il fatto, dimostrerebbe “che quell’arma non era stata trovata per caso e che tantomeno era stata ritenuta un’arma giocattolo”. Oltre il gip non può spingersi, sul “fatto omicidiario non contestato”. Su quello sono in corso altri accertamenti, per fare chiarezza.