Passa in consiglio regionale la legge sul terzo mandato di De Luca, ma il Nazareno sconfessa ancora i suoi consiglieri, ribadendo il no al governatore di Salerno. In aula il centrodestra annuncia il ricorso del governo alla Consulta, come anticipato ieri da Anteprima24. La Regione Campania così, nelle intenzioni, recepisce la normativa nazionale del 2004 sulle elezioni. De Luca, per ora, incassa un successo. Ma il prezzo più alto lo paga il Pd. Grande il rischio cortocircuito, sull’asse Roma-Campania. “Abbiamo approvato una norma ma non abbiamo definito una candidatura” s’affretta a dire Massimiliano Manfredi. E giura anche: “Mai Schlein o altri dirigenti si sono permessi di farmi pressioni o associare vicende totalmente distinte“. Il riferimento è alla partita Anci, dove il fratello Gaetano Manfredi è in corsa per la presidenza. Tutto il gruppo dem si è schierato per il sì, approvato a maggioranza (33 favorevoli, 16 contrari e un astenuto). Unica eccezione l’astenuta Bruna Fiola. Ma stavolta, gli equilibrismi sembrano un esercizio proibitivo. Per il capogruppo Mario Casillo, l’imperativo è “tenere unito il Partito Democratico”. E invoca subito il “dialogo” Schlein-De Luca, con l’obiettivo di “ricongiungere due posizioni” adesso distanti. Si spera nel fattore tempo, con le urne tra almeno 12 mesi. E nonostante i proclami deluchiani, Casillo assicura: “Il presidente non ha detto che si vuole candidare, perché ha riconosciuto che il percorso della candidatura passerà per un ragionamento dell’alleanza”.
Chi ha già scelto è invece Italia Viva. Comunque vada il candidato sarà De Luca, avverte il capogruppo Tommaso Pellegrino. A queste parole, il governatore tira fuori un corno rosso, scatenando l’ilarità in aula. Ma fuori dall’emiciclo De Luca si blinda nel silenzio, pur braccato dai cronisti. Dice sì al terzo mandato pure l’ex grillina Valeria Ciarambino, ora nel gruppo misto. “Voto a favore – dichiara – anche contro l’ipocrisia di chi finge di battersi per la democrazia, ma in realtà sta proteggendo delle rendite di posizione sugli scranni parlamentari, senza aver preso mezza preferenza dei cittadini”. Ma a gelare di nuovo la maggioranza è la nota di Igor Taruffi, responsabile organizzazione del Nazareno. Prende atto del voto in consiglio regionale, ma questo “non sposta di un millimetro la posizione del Pd nazionale sul limite dei due mandati”. Quindi la precisazione, simile a una sentenza: “Vincenzo De Luca non sarà il candidato presidente sostenuto dal Pd alle prossime elezioni regionali”.
Durante la discussione, intanto il centrodestra pronostica l’impugnazione del governo. “È una legge ad personam, altro che Berlusconi” sbotta Stefano Caldoro. L’ipotesi ricorso è confermata a distanza da Edmondo Cirielli, viceministro degli Esteri, e dai capigruppo forzisti di Camera e Senato, Paolo Barelli e Maurizio Gasparri. Più prudente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, fuori a Palazzo Chigi (“Adesso vediamo…”). Qualcuno, dai banchi della minoranza, si rivolge a De Luca. “Ma è proprio sicuro che i cittadini la vogliano ancora?” domanda il capogruppo leghista Severino Nappi. E nel centrodestra c’è pure un distinguo. Per disciplina, vota no al terzo mandato Nunzio Carpentieri di Fratelli d’Italia. Ma la decisione è sofferta, perché “la penso diversamente e mi auguro non ci sia impugnazione”. Originale la motivazione: il governatore “dovrà sottoporsi al voto dei campani rispetto ai grandi fallimenti accumulati”.
Il terzo mandato, viceversa, è una “bufala giuridica” per Maria Muscarà, altra ex M5S confluita nel misto. Lei torna ad evocare la norma regionale “già esistente dal 2009”, cioè la legge elettorale della Campania. A suo avviso è il vero recepimento della norma nazionale di 20 anni fa. Un precedente che comprometterebbe il testo a firma di Giuseppe Sommese, votato stamane. Complesse questioni giuridiche, di certo da dipanare. Anche la legge elettorale regionale, in ogni caso, è stata modificata oggi. L’ok a maggioranza (31 voti favorevoli, 12 contrari, un astenuto) introduce una serie di novità. Tra queste l’eliminazione del limite del 65% del premio di maggioranza, una soglia di sbarramento al 2,5% per le liste, la sospensione del consigliere promosso assessore regionale, il divieto di candidatura per i sindaci.