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La Campania non è una terra di tartufi. E’ (anche) per smentire questo assunto, sbagliato, che si è tenuto ieri a Eboli presso l’azienda agricola sperimentale regionale Improsta il convegno su “La tartuficoltura come opportunità di sviluppo per i territori”, per discutere del progetto Siditac, ovvero i sistemi innovativi digitali per tartufi autoctoni campani, finanziato con la misura 16.1 del Psr Campania 2014-2022. Un progetto che vede in prima fila la ricerca per valorizzare un’eccellenza come il tartufo. Come ha spiegato la professoressa Enrica De Falco, docente del corso di Agraria dell’Università di Salerno e responsabile scientifico del progetto Siditac: “I progetti del Psr nascono proprio con l’obiettivo di mettere insieme la ricerca e chi lavora nel settore per cercare di raggiungere risultati o trasferire conoscenze. La tartuficoltura è un settore di grande interesse e la Campania fino ad alcuni anni fa non era conosciuta come terra di tartufi a differenza di Umbria o Piemonte, poi con il lavoro d’insieme fra Università di Salerno, Consorzio Appennino Meridionale e Regione Campania abbiamo rilevato che non solo in Campania ci sono le nove specie di tartufo commercializzabili, ma ce n’è anche tanto. Di qui il progetto di aggiungere un’altra opportunità per valorizzare il nostro prodotto, rendere consapevoli coltivatori e raccoglitori dell’importanza del prodotto che hanno e guardare anche alla gestione degli alberi, del bosco e della foresta per mitigare i cambiamenti climatici”. Ed entrando nel dettaglio del progetto: “Utilizziamo sensoristica e monitoraggio per gestire meglio le risorse, vedi l’acqua, o anche per monitorare cosa accade negli alberi e anche per capire quando una tecnica funziona meglio rispetto ad un’altra. Per questo c’è un prototipo che abbiamo appena montato che rileva oltre ai dati meteorologici, l’umidità del terreno, il diametro del fusto e altri elementi che ci consentono di capire quale tecnica è migliore da abbinare alla coltivazione del tartufo”.
 
E nel merito i lavori sono stati aperti dall’esperto micologo Michele Caputo, che ha spiegato: “La Campania ha tutte le nove specie di tartufo e nonostante ciò arriva ancora tartufo da fuori. La ricerca è partita nel 2016 creando qui nell’azienda Improsta un vivaio sperimentale, coltivando tartufi dando anche un segnale, un’opportunità per i giovani e per evitare la loro emigrazione”.
 

La filiera istituzionale dunque al fine di portare al territorio benefici puntando sull’enogastronomia, come ha spiegato Luca Sgroia, presidente Craa azienda Improsta: “Attorno a questo progetto abbiamo messo insieme una filiera importante, con partner pubblici come l’azienda Improsta che è la più grande azienda agricola della Regione Campania oltre che il più grande centro di ricerca della Regione Campania sul fronte dell’agricoltura con altri soggetti istituzionali come Università di Salerno, Osservatorio dell’Appennino Meridionale e soggetti della filiera privata perché consideriamo che il tartufo sia una straordinaria scommessa produttiva su cui investire prevedendo meccanismi di innovazione. E’ una risposta che può fare aumentare la competitività dei nostri territori: dimostriamo che la Campania è una realtà consolidata per i tartufi e che può anche migliorare sensibilmente”.
E il funzionario regionale Luca Branca: “Quella del tartufo è un’eccellenza celata, perché la Campania ha un patrimonio notevole. L’obiettivo è dare risalto al tartufo ma anche dare indicazioni concrete a chi ha una tartufaia o ai cercatori. La Regione Campania da tempo sta investendo sul tartufo, anche in stretta collaborazione con cercatori e coltivatori”.

Un progetto cui ha contribuito anche Irfom, che partecipa al progetto coordinando le attività di formazione e di divulgazione degli obiettivi, come spiegato da Aniello Troiano: “La Campania ha ottimi prodotti ma poco valorizzati: intervenire in tal senso può migliorare il reddito dei coltivatori in maniera importante. La misura 16.1 finanzia la ricerca in una sorta di patto alla pari tra agricoltori, università, centri di ricerca: non c’è più chi fa la ricerca e chi la applica, e compito di Irfom è proprio quello di intervenire in tal senso, facendo formazione per divulgare conoscenze e tecniche per puntare sull’eccellenza”.