Al vertice del G7 si contrappone la base, associazioni e sindacati – dall’Arci alla Cgil – che propongono e manifestano per una visione di sicurezza, di società e di sviluppo diversa, alternativa, partecipata, che parte dal basso.
Per tale ragione si sono costituite in “UNIT3 – Manifesto Social Forum Irpino”. Il 4 ottobre ad Avellino ci sarà il Corteo contro il G7. Lo slogan è #nessunəèillegale, ma c’è di più.
IL DOCUMENTO:
“Riteniamo che il G7 dei ministri dell’interno che si terrà a Mirabella Eclano, dal 2 al 4 ottobre, sia un’occasione importante per tutta l’Irpinia – e non solo – per continuare il percorso di mobilitazione e riflessione profonda sui temi della sicurezza, dell’accoglienza, dei diritti umani, della pace.
Il G7 alle porte impone a tutt3 di ripensare alla propria visione del mondo e su come creare una narrazione alternativa rispetto a quella securitaria e liberticida promossa dai grandi della terra e dal nostro governo. Su come comunicare, trasmettere e rendere egemone un altro possibile rispetto a quello delle guerre, dei muri, delle carceri sovraffollate, delle discriminazioni, delle carestie e della siccità.
Viviamo un periodo storico allarmante, sotto alcuni aspetti drammatico. Il genocidio in atto a Gaza ne è esempio chiarissimo, e purtroppo non eccezionale se teniamo conto della condizione di tutti quei popoli che subiscono oppressione e guerrain tutto il mondo: dal Kurdistan allo Yemen, dall’Europa dell’Est al medioriente, dalla Libia all’Africa subsahariana, dal centro America all’Asia.
Tutt3 ci confrontiamo quotidianamente con condizioni diffuse di oppressione su più livelli che generano subalternità, mancanza di libertà, impossibilità di autodeterminarsi: condizioni che impongono di pensare a mobilitazioni diffuse in grado di intrecciarsi, ibridarsi, convergere.
Il tema dei diritti umani è uno di quei temi che riteniamo centrale per affrontare questo percorso che ci proponiamo di realizzare e la sordità del nostro governo, così come delle nazioni che partecipano al G7, su questi temi deve spingerci a farne il perno di una contronarrazione radicale che metta in evidenza le ipocrisie ascoltate in questi mesi su genoicidi e bombardamenti.
Assistiamo inoltre all’emanazione di leggi e interventi sempre più repressivi di pari passo con l’accentramento dei poteri e la concentrazione di capitali e della finanza. Fenomeni storicamente associati a periodi prebellici e ad economie orientate prevalentemente alla guerra, con il rischio che dalla tragica “guerra a pezzetti” si vada verso una ancor più devastante guerra su vasta scala con rischi di utilizzo del nucleare. Il biglietto da visita dei peggiori governi di destra resta la normazione in materia di sicurezza pubblica, lo strumento prescelto per azzerare il dissenso, le manifestazioni di pensiero, l’esistenza stessa di un’opposizione che è fattore necessario alla democrazia.
Già nel 2018 il decreto sicurezza di salviniana memoria ha riportato in auge il reato di blocco stradale, finalizzando l’attività repressiva verso chiunque usi la pubblica via per manifestare contro il potere costituito. Ad oggi il nuovo pacchetto sicurezza voluto da Piantedosi disegna un modello autoritario e repressivo nelle nostre comunità, colpendo anche con intenti discriminatori, diverse situazioni di marginalità sociale. Le nuove disposizioni che il Governo vorrebbe introdurre appaiono, infatti, impostate ad una logica repressiva, securitaria e concentrazionaria: la sicurezza è declinata solo in termini di proibizioni e punizioni, ignorando che è prima di tutto sicurezza sociale, lavorativa, umana e dovrebbe essere finalizzata all’uguaglianza delle persone.
Ancora una volta assistiamo al potenziamento degli strumenti di controllo sociale, malamente giustificato dalla necessità di prevenire il rischio di eversione dell’ordine democratico. Insomma controllo e spionaggio politico, come in ogni regime autoritario che si rispetti.
Al tempo stesso, pensiamo sia necessario che questo percorso sia quanto più intersezionale possibile. Parlare di diritti significa parlare dei diritti dell3 lavorator3 in un mondo nel quale il precariato, la subordinazione nei rapporti di lavoro e la sempre minore forza contrattuale la fanno da padrone. Parlare di diritti significa fare nostra la lotta transfemminista, lgbtqia+ e tutti i diritti sociali e civili fondamentali che condizionano la vita delle persone.
Le politiche securitarie messe in atto scientificamente dal nostro governo risultano fortemente allarmanti, ma dobbiamo sottolineare che il processo di repressione della massa critica, della libertà di manifestazione ed aggregazione è stato alimentato dai governi di qualsiasi colore politico e il decreto legge Minniti-Orlando ne è solo un esempio.
La propaganda sulla sicurezza messa in atto dai governi internazionali in questi anni gioca sull paura dell3 cittadin3 e sulla loro necessità di essere rassicurat3. Proprio per questo è fondamentale immaginarsi una narrazione alternativa che parta proprio dal ribaltamento del concetto di sicurezza e ordine pubblico, in particolare, che verranno a raccontarci dal 2 al 4 ottobre al Mirabella Eclano.
Una comunità non è sicura quando si moltiplicano diseguaglianze, sperequazioni, protezione per alcune categorie sociali e ghettizzazione per altre.
Una comunità non è sicura se i diritti sociali e civili vengono messi in discussione costantemente.
Una comunità non è sicura se scientemente i/le nostri/e rappresentanti individuano un nemicə da ergere a capro espiatorio da attaccare, discriminare e marginalizzare.
Una comunità non è al sicuro se risponde ai processi migratori con la politica dei muri, invece di creare le basi di una società accogliente che favorisca l’incontro interculturale, ma soprattutto intersezionale.
In un’area come quella Irpina, dove lo spopolamento rappresenta una problematica atavica, dove il tasso di occupazione giovanile è sempre più in decrescita, è doveroso immaginare modelli di vivibilità e di sviluppo dei luoghi contemporanei che si differenzino dai modelli fallimentari applicati fino a questo momento, basati esclusivamente sullo sfruttamento dei corpi e delle terre in funzione capitalistica e anti-meridionalista.
I flussi migratori sono per le nostre terre un’occasione di scambio umano e culturale unico, oltre che un’opportunità per la ripopolazione dei nostri territori e per immaginare processi economico-sociali che possano garantire una vivibilità diversa dei nostri luoghi. L’idea di un’accoglienza che generi percorsi di sviluppo sociale ed umano reale e quel villaggio globale, così ben immaginato nell’esperienza di Riace, è per noi l’unico modo di gestire il processo.
Riteniamo, invece, che il processo di gentrificazione che si sta sviluppando nei nostri territori sia fortemente limitante e pensiamo non esalti per nulla le caratteristiche e le ricchezze della nostra terra. Il processo di valorizzazione del nostro territorio si determina solo attraverso una visione prospettica chiara e condivisa sul come creare opportunità reali nelle nostre terre e generare servizi efficaci che migliorino la vivibilità delle stesse.
La questione della mobilità e dei trasporti rappresenta uno dei fulcri di questo manifesto, le nostre istituzioni dovrebbero dare delle risposte immediate invece di affaticarsi nel celebrare l’ingresso del comune di turno nei “borghi più belli d’Italia”. Risposte immediate vanno date anche sull’acqua con la prioritaria necessità del rifacimento dell’ intera rete idrica, vecchia di oltre sessant’anni e con enormi dispersioni, per garantire un bene-diritto fondamentale per le persone ma essenziale anche per l’agricoltura. Riteniamo estremamente limitante fondare lo sviluppo dei nostri territori su premi effimeri, poiché ciò rappresenta un modo per eludere
una serie di responsabilità che sono invece chiaramente percepite da tutt3.
Un vero sviluppo sostenibile è possibile solo se le istituzioni affrontano in maniera seria e strutturata la questione occupazionale nel nostro territorio. Si soffre di una mancata capacità di valorizzare i settori vitali dell’economia, come quello dell’agroalimentare. Si avverte una forte incapacità nella valorizzazione delle competenze e delle professionalità che qui si formano, mettendole in pratica altrove.
In una situazione locale e globale così complessa diventa indispensabile scegliere da che parte stare e comunicarlo nella maniera più efficace possibile.
Prendere posizione è per noi un obbligo morale; creare le condizioni per far sì che le grandi potenze occidentali possano cambiare le loro posizioni è una necessità. Per questo motivo intendiamo mobilitarci nelle prossime settimane per rendere l’Irpinia protagonista non delle farneticanti decisioni di un G7 dei ministri degli interni ma del radicamento materiale di altri mondi possibili”.