Rumori degli aerei e sorvoli a bassa quota, ricorso inammissibile per carenza di giurisdizione. Ovvero, sul caso Capodichino il tribunale civile di Napoli si dichiara incompetente. Ora i ricorrenti sono pronti a rivolgersi al Tar. Si tratta di quattro cittadini napoletani, residenti tra Centro Storico, Colli Aminei, Capodimonte e Vomero. Invocano la tutela del diritto costituzionale alla salute. Sul loro ricorso d’urgenza, il giudice Salvatore Di Lonardo (sesta sezione) ha emesso un’ordinanza. Secondo il provvedimento, il trasporto aereo “costituisce indiscutibilmente un ‘servizio pubblico'”. Pertanto la giurisdizione spetta al giudice amministrativo “in quanto ciò che i ricorrenti contestano è proprio la regolamentazione del traffico aereo da parte delle autorità preposte, di cui censurano – seppur solo genericamente – la discrezionalità valutativa e tecnica”.
I cittadini, affiancati da Assoutenti Napoli, hanno citato in giudizio Gesac, gestore dello scalo di Capodichino, ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Enac ed Enav. Con i convenuti si sono schierati, costituendosi a loro volta, Regione Campania, Comune di Napoli e Unione industriali. Il ricorso chiede la cessazione delle “immissioni intollerabili nelle abitazioni”, mediante l’adozione di “qualsivoglia misura”. Compreso il divieto di sorvolo, “fino a quando non si saranno adottate misure tecniche che impediscono le immissioni medesime”. Ragioni contrastate dai convenuti e dagli enti locali, basandosi su una pluralità di motivazioni. Non ultime, quelle di stampo economico e finanziario. Giustificazioni legate all’elevato transito di passeggeri, al turismo ed alle entrate della tassa di imbarco.
Se anche il Tar si ritenesse incompetente, potrebbero essere le sezioni unite della Cassazione a sbrogliare la matassa. In quel caso, occorrerebbe infatti un regolamento di giurisdizione. Cioè un’inappellabile decisione su quale tribunale – civile o amministrativo – sia titolato a pronunciarsi. Il giudice Di Lonardo intanto ha compensato le spese di giudizio tra le parti, considerando “l’obiettiva problematicità della materia trattata”.