In Campania si pagano molti più assegni INPS che stipendi, e se si considera che nel giro di qualche anno, secondo le previsioni, entro il 2028 per la precisione, sono destinati ad uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età circa 400.000 lavoratori campani, le cose non potranno che peggiorare per i conti pubblici regionali.
Ad evidenziare questo squilibrio è l’elaborazione dei dati svolta da Unimpresa Irpinia Sannio, su fonti INPS e ISTAT. “Dobbiamo considerare – interviene il presidente Ignazio Catauro – che in considerazione della grave crisi demografica in atto, che interessa principalmente le aree interne della nostra regione, dunque Irpinia e Sannio, le cose non potranno che peggiorare. Nessuno di noi pensa che si riuscirà a rimpiazzare tutti i lavoratori che avranno raggiunto i limiti di età per godersi la meritata pensione. Dobbiamo ricordare poi – continua Catauro – che a questo esborso vanno aggiunte le varie tipologie di assegni erogati dall’Inps che superano di gran lunga le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre imprese e nei nostri uffici. In questo modo si metterà a rischio l’intero equilibrio economico del sistema sanitario e previdenziale regionale”.
Gli ultimi dati disponibili, quelli riferiti al 2022, evidenziano che in regione Campania complessivamente sono poco più di 1.641mila gli occupati, a fronte di una platea di 1.817mila percettori di pensione o assegno INPS, uno squilibrio negativo pari a -175mila unità.
“Un dato di cui non andare certo fieri – precisa ironicamente il presidente Unimpresa Irpinia Sannio Catauro – purtuttavia questa fotografia dei dati, drammatica e preoccupante al contempo, ci permette finalmente di richiamare l’attenzione su di un fenomeno diventato più che preoccupante, direi tragico: l’abbandono delle aree interne in particolare della popolazione giovanile, con il conseguente e inarrestabile spopolamento di tutte le aree interne della nostra regione. O si pone un freno nell’immediato, oppure tra qualche anno non ci sarà più nulla da fare, sarà decisamente troppo tardi per invertire la tendenza”, precisa il presidente Catauro.
I dati che riguardano poi nello specifico le due province dell’area Irpinia Sannio sono ancora più drammatiche. Nella provincia di Avellino, a fronte di una platea pari a 143mila addetti, ben 157mila sono cloro che percepiscono un contributo INPS, con uno squilibrio pari a 14mila unità. Ancora peggio per la provincia di Benevento, dove rispettivamente i dati diventano ancora più implacabili: si contano poco più di 89mila addetti con uno squilibrio pari a 26mila posizioni INPS essendo ben 115mila le erogazioni complessive dichiarate dall’Istituto di previdenza italiano.
Per la cronaca la provincia più virtuosa in Campania è quella di Caserta con “appena” meno 11mila il saldo negativo, e quella di Napoli la più “squilibrata” con un deficit complessivo di 92mila erogazioni INPS a vario titolo.
“Va evidenziato – continua il prof. Ignazio Catauro di Unimpresa – che l’alto numero di assegni erogati nella nostra regione è ascrivibile all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato si preoccupante, ma che dimostra anche che il fenomeno è strettamente correlato a quattro elementi specifici: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media italiana e la presenza di troppi lavoratori irregolari. È naturale che la combinazione di questi quattro fattori riduce in modo preoccupante il numero dei contribuenti attivi e di conseguenza, aumenta in numero di coloro che percepiranno una qualsiasi forma di welfare. Precisiamo – continua Catauro – che trattasi di un problema che non riguarda solo la Campania ma l’intero territorio europeo, purtroppo”.
Ma se il fenomeno dell’eccessivo numero di pensioni erogate è di gran lunga superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori, quali saranno le conseguenze immediate per il territorio?
“Nel giro dei prossimi dieci anni, – evidenzia il presidente Catauro – si andrà verso uno squilibrio dei nostri conti pubblici a base regionale che preoccuperà non poco l’intero comparto produttivo campano. Per invertire la tendenza c’è un solo modo, dobbiamo aumentare la platea degli occupati, in primo luogo aumentando i tassi di occupazione giovanile attraverso un allargamento significativo della platea produttiva. I dati dimostrano che in Irpinia e nel Sannio è praticamente inutile e controproducente – sottolinea il professore Catauro – continuare ad investire sulle aziende dei settori oramai decotti, senza l’apporto di significative innovazioni di prodotto e di processo. È un enorme e vergognoso spreco di denaro per esempio finanziare aziende con 30 milioni di euro di fondi pubblici per assumere 27 operai, è necessario piuttosto allargare la platea dei produttori, cioè delle piccole imprese, perché sono le uniche ad assicurare concretamente una capillare crescita dell’occupazione giovanile e femminile. Senza dimenticare che l’allargamento della platea produttiva attraverso la crescita numerica delle piccole imprese determina un esponenziale aumento delle entrate fiscali, un aiuto concreto alle piccole comunità locali”.
L’analisi di Unimpresa Irpinia Sannio evidenzia che a causa di una presenza di over 65 molto diffusa sia in Irpinia che nel Sannio, alcuni importanti settori economici hanno subìto e subiranno ancora di più dei contraccolpi estremamente negativi. Gli studi sull’argomento concordano difatti nel riconoscere che con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione, in quanto si tratta di una società costituita prevalentemente da anziani, rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, del settore ricettivo e dell’agroalimentare. Solo per citare quelli più penalizzati.
“Un territorio, quello delle aree interne della regione Campania, in particolare l’Irpinia e il Sannio, – conclude il presidente Ignazio Catauro – che registra una popolazione sempre più anziana, affiancato al fenomeno della riduzione in modo tragico del tessuto produttivo diffuso, senza interventi concreti e immediati, potrebbe avere nei prossimi anni seri problemi nel mantenere i livelli di benessere sin qui raggiunti; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Stiamo parlando della concreta sopravvivenza delle nostre aree”.