La disputa sulla Venere degli stracci arriva fino in Vaticano. L’approdo si registra con una nota trasmessa alla Santa Sede dal comitato civico Portosalvo, il primo a sollevare il caso del trasloco in chiesa dell’opera di Pistoletto. Intanto, sul trasferimento c’è l’allarme di artisti ed espositori. Si paventa una drastica contrazione di spazi, tra le mura di San Severo al Pendino, destinate da anni ad ospitare mostre. Aree su cui si poserà un manufatto di 16 tonnellate, per 7 metri d’altezza.
Il comitato Portosalvo, dal canto suo, si appella alla Sede Apostolica. Un’iniziativa in dissenso con la Curia di Napoli. Non si condivide cioè la posizione dell’Arcidiocesi, dalla quale filtra l’ok all’operazione Venere in chiesa. San Severo al Pendino è di proprietà comunale, e non più adibita al culto, benché non sia sconsacrata. E dal 1995 un decreto arcivescovile l’ha ridotta ad un uso ‘profano non indecoroso’. Ma le regole concordatarie assegnano l’ultima parola all’autorità ecclesiastica. Ebbene: non ci sono pronunce formali, sull’arrivo dell’opera nella chiesa di via Duomo. Emerge tuttavia, da notizie di stampa, un orientamento favorevole. Per la Curia, in pratica, nessun problema: la Venere è compatibile con l’edificio di culto. Ed è appunto questo ad essere contestato dal comitato Portosalvo. Il presidente Antonio Pariante considera la scelta impropria, ed irrispettosa verso la sacralità del luogo. E ricorda gli obblighi sulla destinazione d’uso, ritenuti in contrasto con la presenza dell’opera. Principi poggianti su norme civili ed ecclesiastiche. “Le chiese rimangono tali per l’eternità” ripete Pariante. Pertanto, un simile accostamento sarebbe “un atto sacrilego, indipendentemente dal decreto dell’arcivescovo”.
Ma al Vaticano vengono esposti anche altri motivi di contrarietà. Uno riguarda la staticità di San Severo al Pendino. Come la maggior parte delle antiche e secolari chiese di Napoli, è dotata di un ipogeo sottostante. Nel vano sotterraneo risultano esserci le reliquie dei defunti, seppellite nella Terra Santa. E si sottolinea anche un precedente. Per la Venere degli stracci, appena smontata da piazza Municipio, in origine si pensava ad altra collocazione. Si immaginava di portarla nella basilica di San Pietro ad Aram. A far tramontare l’idea sarebbe stata proprio la complessa coesistenza con l’ipogeo. Per San Severo al Pendino, inoltre, si evidenzia la presenza dell’altare settecentesco e di altri importanti arredi sacri. E a suffragare le sue tesi, il comitato richiama il Codice di Diritto canonico. Secondo il canone 1238, gli altari non perdono la propria dedicazione o benedizione, anche se la chiesa è ridotta a uso profano. “Quindi, considerate le norme di cui sopra – dice Pariante -, la nostra richiesta di rimozione dell’altare, semmai volessero per forza metterci la Venere, è assolutamente fondata e legittima”.
Ma a lanciare un’allerta è anche Green News Deal, agenzia di informazione indipendente, ideata da attivisti ecologisti. “Siamo stati contattati da una serie di artisti napoletani e associazioni e vari soggetti, anche teatrali, che – spiega il direttore Carmine Maturo – hanno realizzato in quello spazio tante iniziative e che con la presenza della Venere sarebbero inibite”. Per questi espositori, in sostanza, l’opera impedirebbe “di poter esporre, perché è ingombrante sia dal punto di vista di impatto visivo che da quello volumetrico”. Insomma “toglie lo spazio che – aggiunge Maturo – fino ad adesso era stato dato a decine, centinaia di associazioni”. E San Severo al Pendino, si rimarca, “in questo momento è importante perché le altre strutture monumentali del comune di Napoli sono in fase di restauro: il Pan, Castel dell’Ovo, San Domenico Maggiore“. Altra benzina sul fuoco delle polemiche.