Omicidio nel carcere di Salerno dove un detenuto magrebino armato di una lametta ha aggredito e sgozzato un connazionale. L’aggressore è stato bloccato dagli agenti della polizia penitenziaria.
Viveva in Umbria, nella provincia di Perugia, dove si trova anche la madre ed aveva precedenti per spaccio e rapina il detenuto magrebino ucciso dal connazionale nel carcere di Salerno.
Entrambi erano detenuti nella sezione “detenuti comuni”. La lite sfociata in omicidio è scaturita da futili motivi.
Nelle carceri non solo i suicidi ma anche gli omicidi sono il segno più evidente che lo Stato ha ammainato bandiera bianca. L’omicidio di un detenuto magrebino nel carcere di Salerno ad opera di un connazionale è il terzo dell’anno. In precedenza omicidi sono avvenuti a Poggioreale il 4 gennaio e ad Opera-Milano il 20 aprile. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. che aggiunge: nei penitenziari le liti e gli atti di violenza tra detenuti sono pressoché quotidiani con il personale che, correndo pericoli per la propria incolumità, deve fare l’impossibile per evitare conseguenze gravi. Non possiamo più tollerare – afferma Di Giacomo – che le carceri italiane siano diventate peggiori persino di quelle sudamericane ed africane nelle quali la vita umana dei detenuti e del personale è sempre a rischio. Lo abbiamo già denunciato: questi sono segnali che prima o poi ci scapperà il morto anche tra gli agenti. Ogni nostro appello viene ignorato. Per questo il Sindacato di Polizia Penitenziaria si rivolgerà alla Corte Europea dei diritti dell’uomo perché apra una procedura di inchiesta contro lo Stato Italiano sul mancato rispetto dei diritti inviolabili all’incolumità personale e alle condizioni di lavoro del personale penitenziario italiano e contro le discriminazioni nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Non si può agitare il ricorso all’organismo dell’Unione Europea a senso unico, quello dei detenuti, ignorando o fingendo di ignorare che gli agenti penitenziari sono sottoposti a condizioni di autentica tortura per le aggressioni e le violenze che subiscono quotidianamente – circa 1800 episodi nei primi sei mesi dell’anno – con una media di 5 al giorno; di queste un terzo hanno prodotto prognosi di oltre 8 giorni ma in 150
casi sono state superiori ai 20 giorni. Si va anzi affermando la tesi che chi lavora in carcere per assicurare la legalità deve “per forza” incorrere in rischi considerati come normalità per il lavoro che si fa. Dopo aver sollecitato in numerosissime occasioni e con mobilitazioni e proteste l’Amministrazione Penitenziaria ad intervenire con provvedimenti adeguati assumendo la propria responsabilità, per quanto accade non ci resta che rivolgerci alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha già più volte emesse sentenze di condanna dello Stato Italiano per il trattamento dei detenuti ed è quindi ora che si occupi anche del personale penitenziario. E lo faremo con una clamorosa manifestazione di protesta”.
“Se fosse vero, come riportano gli organi di informazione, che si sta indagando per omicidio per il detenuto trovato morto oggi in cella, non potremmo che parlare di orrore nel carcere di Fuorni nel contesto di una situazione penitenziaria sempre più critica ed allarmante”. Così il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, Donato CAPECE, dopo aver appreso la notizia della morte di un detenuto nel carcere di Salerno
Tiziana Guacci, segretario SAPPE per la Campania, commenta con preoccupazione l’ennesimo episodio gravissimo di violenza presso gli istituti campani, ovvero presso la casa circondariale di Salerno. “Nella giornata di ieri due detenuti di origine straniera a seguito di una grave colluttazione sono finiti in ospedale. Da tempo il Sappe denuncia lo stato di abbandono delle carceri campane; si continua ad assistere a continue aggressioni non solo al personale di polizia penitenziaria ma anche alla popolazione detenuta. Di fronte a tali denunce riscontriamo una inerzia del Provveditorato regionale della Campania rispetto ad interventi concreti e risolutivi. Siamo molto preoccupati non solo per l’incolumità del personale di polizia penitenziaria ma degli stessi detenuti che vogliono scontare la propria pena in maniera serena”.
Per CAPECE, è necessario ripensare completamente la questione penitenziaria: “Quanto accaduto nel carcere di Fuorni deve necessariamente far riflettere per individuare soluzioni a breve ed evitare che la Polizia penitenziaria sia continuo bersaglio di situazioni di grave stress e grande disagio durante l’espletamento del proprio servizio”.