“A distanza di 20 anni anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto la completa estraneità dei familiari di Gelsomina Verde ad ambiente criminali e camorristici e il loro diritto a vedersi riconosciute come vittime. Resta però un’ultima importante questione, quella del riconoscimento formale e ufficiale da parte dello Stato (Ministero dell’Interno) della stessa Gelsomina come vittima innocente della camorra”. Liana Nesta, avvocato che assiste la madre e il fratello della ragazza di 21 anni barbaramente torturata e uccisa nel 2004 a Napoli – il suo corpo fu poi dato alle fiamme – nel pieno della cosiddetta prima faida di Scampia, è soddisfatta ma non fa salti di gioia per la sentenza della Consulta che il 4 luglio ha dichiarato incostituzionale la norma sul quarto grado di parentela. Soddisfatta perché la decisione della Corte, sollecitata dalla sua eccezione di incostituzionalità presentata proprio nel procedimento relativo ai congiunti della 21enne, chiude una battaglia durata anni contro quella norma (articolo 2-quinquies comma 1 lettera a del Decreto Legge 151 del 2008) che ha precluso a decine di familiari di vittime innocente di camorra, mafia e ‘ndrangheta – tra cui familiari di vittime note come Peppino Impastato – di vedersi riconosciuto lo status di vittime estranee ad ambienti delinquenziali e i benefici economici previsti dalla legge, e ciò per la presenza nel loro nucleo di parenti o affini fino al quarto grado con problemi penali, che faceva presumere in modo assoluto e automatico la non estraneità ad ambienti criminali, senza che valesse alcuna prova contraria, come l’assenza assoluta di contatti con il “parente scomodo”.
Nel caso del mancato riconoscimento come vittime innocenti di Gelsomina Verde e dei suoi familiari, emerse un cugino di suo padre, mai conosciuto e frequentato dalla ragazza e dai suoi stretti congiunti, che negli anni ’80 era stato raggiunto dalla misura giudiziale dell’obbligo di dimora ed era inoltre già morto quando nel 2013 la Nesta presentò al Ministero dell’Interno istanza per far ottenere ai familiari di Mina i benefici di legge; l’istanza fu bocciata appunto per quel parente mai visto ma che rientrava nel quarto grado, e ciò che allora prevalse fu anche una narrazione falsata su Gelsomina.
“Sui media – ricorda Nesta – era prevalente la narrazione fatta da un noto scrittore sul rapporto sentimentale che Mina aveva avuto con un esponente del clan; un rapporto durato pochi mesi e finito molto prima del delitto. Quando fu uccisa, Mina aveva una relazione con un altro ragazzo”.
Si disse infatti allora che la Verde era stata uccisa perchè il clan Di Lauro voleva sapere da lei che fine avesse un altro esponente che dalla cosca si era staccato, e con cui la 21enne aveva avuto un rapporto finito mesi prima dell’omicidio. Ma dai processi e dai rapporti delle forze dell’ordine è emersa una realtà diversa, cioè che Mina era assolutamente lontana da certi ambienti, pur essendo cresciuta nel quartiere in cui vivevano i suoi aguzzini, che lei conosceva. Ora con la sentenza della Corte Costituzionale si potrà “sanare” almeno il mancato riconoscimento dei familiari della 21enne; la Corte d’Appello di Napoli, una volta ricevuta la sentenza 122 della Consulta, potrà infatti riconoscere ai familiari della Verde i benefici negati dal Viminale. Una vittoria, ma non c’è gioia nelle parole della Nesta, perché da un lato lo Stato non ha ancora riconosciuto Gelsomina come vittima innocente, dall’altro è ancora aperto il processo nei confronti di due dei tre indicati esecutori materiali del delitto.
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Avvocato dei familiari di Gelsomina Verde: “Ora ci sia il riconoscimento”
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