Il commercio food e di accoglienza? In Campania per il 65% sarebbe nelle mani di consorterie criminali, attraverso prestanome. A sostenerlo è uno studio choc, che è anche un grido d’allarme. A diffonderlo è la Federazione Commercio Campania e Napoli. Peraltro, l’associazione di imprese non si limita ad accendere i fari su pizzerie, bar e bed and breakfast. “Anche le vendite all’asta giudiziarie – afferma una nota sui social – ormai sono presidio dei colletti bianchi al soldo di insospettabili prestanome”. Secondo l’indagine, la camorra “ama controllare il territorio”, anche perché la presenza di tante famiglie malavitose “costringe i gruppi a delimitare i confini della loro influenza”. Ma ora che il fenomeno turistico si è sviluppato a Napoli, “il controllo del territorio lo si fa entrando in partecipazione nelle imprese e quindi appropriandosene con vari prestanomi”. L’Osservatorio riciclaggio della federazione commercio Napoli e Campania stima “che il 65% delle nuove attività di Pizzerie e simili e di b&b e stato realizzato con proventi di riciclaggio”. Il fenomeno riguarderebbe tutta la regione, soprattutto i capoluoghi.
Il commercio è inoltre interessato dal settore delle aste immobiliari , “dove i colletti bianchi (avvocati commercialisti) accedono agli atti prefallimentari per acquisire immobili a poco prezzo (ribassi fino al 70%) per cui col paravento di prestanomi si acquisiscono beni immobili commerciali ed abitativi in zone strategiche”. Insomma “con pochi soldi – afferma lo sigla – si comprano la miseria della gente”. La Federazione, presieduta da Enzo Perrotta, lancia una stoccata anche alle “sezioni fallimentari” dei tribunali, le quali cercherebbero “di chiudere quanto prima i giudizi troppo spesso senza fare approfonditi controlli e senza chiedere l’aiuto delle forze dell’ordine che ben conoscono le modalità di riciclaggio”.
Dalla Federazione Commercio arriva un vero e proprio sos. La camorra, sempre più “pervasiva”, è tra i principali “ostacoli allo sviluppo dell’economia”. Un pericolo “crescente”.
Il capitalismo criminale è alimentato “anche da quotazioni finanziarie in borsa e da partecipazioni societarie di ogni genere”. Ma guarda “soprattutto alla creazione di imperi immobiliari che attraverso società legalissime detengono la proprietà”. Quindi si incassa “sul territorio con attività commerciali di piccolo spettro economico che garantiscono egemonia territoriale e riciclaggio a costo zero e con pochi rischi”.
Per la Federazione “il blocco messo in atto dal comune di Napoli sulle nuove aperture di attività ristorazione e alberghiere ha per un attimo frenato” l’infiltrazione dei clan. Tuttavia il rischio è dietro l’angolo. “Spesso – spiega l’indagine – si parte da un semplice prestito per poi arrivare alla acquisizione della attività. Spesso si firma un atto di cessione in bianco a garanzia del prestito e da quel momento il titolare storico delle impresa commerciale ha le ore contate”. Il destino è segnato, in molti casi. L’esercente “diventa una persona abbandonata a se stessa”, perché “le leggi sono assolutamente inadeguate o addirittura si ripercuotono contro chi ha contratto debito poi divenuto usuraio”. Lo studio indica nella crescita fulminea (“pochi anni”) di locali della ristorazione un sintomo del riciclaggio. I costi di impresa, ovviamente, non sono un problema. E si punta il dito, in aggiunta, sulle nuove frontiere del marketing. La criminalità organizzata “non lesina la sua presenza sui social”. Adesso non si nascondono neanche più.