Un’avvocata civilista del Foro di Benevento, gravemente indiziata di aver commesso numerosi reati di falso, era stata sospesa dopo la decisione del Tribunale del Riesame di Napoli, che aveva disposto il divieto temporaneo di esercitare la professione forense per la durata di un anno. Ora la Cassazione ha annullato il provvedimento.
La V Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso dell’avvocato Vittorio Fucci, ha annullato il provvedimento del Tribunale del Riesame di Napoli che disponeva la misura cautelare della sospensione dall’esercizio della professione per l’avvocato M. D. di Airola, imputata di essere organizzatrice di un’associazione a delinquere e di falso. La Cassazione ha deciso per la celebrazione di un nuovo Riesame dinanzi ad altra Sezione.
Il procedimento nasce a seguito di un’inchiesta che ha coinvolto 11 persone, tra cui diversi professionisti, che, secondo l’accusa, avrebbero presuntivamente proposto una moltitudine di ricorsi falsi, inducendo poi l’Autorità Giudiziaria in errore. La V Sezione della Cassazione ha esaminato esclusivamente la posizione dell’avvocato airolano. Precedentemente le Sezioni Unite della Suprema Corte erano state investite della questione relativa all’utilizzabilità delle intercettazione, che costituirebbero il tessuto probatorio a carico di tutti gli indagati nel procedimento. Le Sezioni Unite avevano già emesso, riguardo alle intercettazioni, una sentenza che dispone l’inutilizzabilità delle intercettazioni.
L’INCHIESTA – Ricorsi falsi nei confronti di gestori telefonici
Il provvedimento traeva origine da un’indagine svolta dalla Tenenza della Guardia di Finanza di Montesarchio dal 2019 al 2020, coordinata dalla Procura di Benevento, a seguito delle querele presentate da due gestori di servizi di telefonia nei confronti dell’indagata, con le quali segnalavano gravi anomalie in centinaia di ricorsi seriali presentati dalla stessa di fronte al Giudice di Pace per conto di vari clienti, tutti finalizzati ad ottenere l’esibizione e la consegna agli utenti dei contratti telefonici da parte dei predetti operatori. I ricorsi si basavano proprio sulla mancata consegna dei contratti telefonici agli utenti, nonostante le richieste avanzate, e, a seguito dell’emissione da parte del Giudice di Pace competente per territorio dei relativi decreti ingiuntivi, gli operatori telefonici venivano condannati, altresì, al pagamento delle spese di lite in favore dell’indagata, quale procuratore antistatario, pari a circa 246,50 euro per ogni contratto telefonico non esibito, in quanto provvisoriamente esecutivi e muniti di atto di precetto. Le richieste presentate dall’indagata agli operatori telefonici per ottenere la consegna dei contratti telefonici erano del tutto irrituali, in quanto prive di una formale delega e del documento di identità del cliente. All’esito di un’articolata attività investigativa, consistita nell’acquisire copia conforme dei ricorsi presentati dalla professionista, delle procure speciali apparentemente rilasciate alla stessa dagli utenti e dei decreti ingiuntivi emessi dal Giudice di Pace competente per territorio, nonchè nell’assumere sommarie informazioni dai clienti dei gestori dei servizi di telefonia, si appurava che nessun utente aveva mai conferito alcun incarico alla professionista, in quanto gli asseriti clienti disconoscevano le sottoscrizioni apposte sulle procure alle liti. Peraltro, in molti casi gli stessi negavano di avere mai avuto la disponibilità delle utenze telefoniche indicate nei ricorsi. Pertanto, i ricorsi per decreto ingiuntivo presentati dalla professionista si basavano su procure alle lite del tutto false, in quanto mai sottoscritte dai clienti. In tal modo emergevano gravi indizi di colpevolezza a carico della professionista, la quale, con il modus operandi sopra descritto, aveva indotto in errore il Giudice di Pace sulla propria legittimazione processuale e sulla fondatezza della pretesa asseritamente vantata dai propri clienti nei ricorsi, così da ottenere la condanna delle compagnie telefoniche al pagamento delle spese di lite.