“L’operazione della Polizia di Stato a Castellammare di Stabia – che ha accertato che le estorsioni ai commercianti della città venivano guidate da boss e affiliati a clan camorristi attraverso ordini impartiti agli uomini dei quartieri comodamente con il telefonino in cella – squarcia l’ultimo velo di ipocrisia: dal carcere comandano sempre loro”. Così Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. che dal 2 aprile scorso ha iniziato un tour tra le carceri italiane e lo sciopero della fame per protestare contro le numerose emergenze del sistema penitenziario italiano.
“Alla base di tutte le emergenze resta l’atteggiamento dello Stato che – aggiunge – ha alzato “bandiera bianca” di fronte a situazioni di comando della criminalità organizzata che non solo continua a minacciare e ad estorcere operatori economici ma persino ad ordinare, sempre via telefono, omicidi. È da tempo che denunciamo che nel carcere con i sempre più numerosi telefonini in circolazione non si girano solo creativi filmati per tiktok ma si continua a comandare clan e affiliati per qualsiasi forma di crimine”.
“È il caso di ricordare a chi nell’Amministrazione Penitenziaria ha la memoria corta – afferma Di Giacomo – i numerosi casi scoperti negli ultimi mesi, persino di summit di mafia comodamente dalle celle via Skype, videochiamate per impartire ordini nei mandamenti, richieste estorsive, minacce per ritirare denunce. Se non fosse per l’incessante opera del personale penitenziario i rifornimenti di telefonini soprattutto con l’impiego di droni trasformerebbero gli istituti in centrali telefoniche e supermarket della telefonia mobile. Solo l’Amministrazione Penitenziaria, il Parlamento, la politica non se ne accorgono non affrontando radicalmente la situazione e accogliendo la nostra proposta di inasprimento delle pene per i detenuti trovati in possesso di telefonini, senza possibilità di concedere alcun tipo di beneficio. Almeno noi – dice Di Giacomo – non abbiamo alcuna intenzione di ammainare bandiera bianca all’anti- Stato che vuole dimostrare di essere più forte dello Stato e per questo abbiamo promosso l’attuale iniziativa di protesta. Lo dobbiamo innanzitutto alle vittime e alle famiglie delle vittime di attentati di mafia, ‘ndrangheta, camorra che continuano a sentirsi minacciati nonostante gli autori dei crimini siano in cella e lo dobbiamo ai sempre più numerosi colleghi aggrediti in carcere. La prima conseguenza di tutto questo è la forte riduzione di collaborazione con inquirenti e magistrati: scoraggiati da questo andazzo in poco tempo appena il 7-8% è disponibile alla denuncia di estorsioni e crimini. E ciò che più ci sconcerta – continua Di Giacomo – è che solo in queste occasioni i media scoprono l’acqua calda e cioè che nelle carceri sono diffusi i telefonini anche quelli più tecnologici finiti persino nelle mani dei giovanissimi oltre che di boss, capo clan ed affiliati che hanno facile accesso ai social. Mettiamoci semplicemente nei panni di chi ha subito l’uccisione di una figlia, una violenza, una rapina che riceve telefonate di minaccia per rendersi conto del sentimento di forte indignazione e più che legittima rabbia che serpeggia. È il segno più degradante del “buonismo” diffuso nei confronti dei detenuti e contemporaneamente dell’impotenza dell’Amministrazione Penitenziaria”.