In Campania la parità di genere è ancora lontana, nel mondo del lavoro. Lo rammentano i dati Svimez, diffusi nella Giornata internazionale della donna. Anche in questa regione, il differenziale è molto ampio. Le cifre del 2023 sono impietose. Meno occupazione a parità di titolo di studio, e più precarietà per le donne. Tra chi ha la licenza media, ha un impiego solo il 16,0% delle femmine: per i maschi, la percentuale è del 54,1. Tra le donne con un diploma, trova lavoro solo il 34,8%. Gli uomini sono invece al 67,0%. Meno marcata la forbice tra i laureati. Qui, le donne occupate sono il 65,9. Gli uomini, viceversa, il 79,0. Il totale parla chiaro: per 2/3 il mercato del lavoro parla maschile (63,2). All’universo femminile resta il 33,2.
Significativi anche gli indicatori di precarietà 2023. Nella fascia d’età 20-64 anni, il part-time al 28,7% è delle donne. Di contro, sono maschi solo il 10,1%. Tra i dipendenti a termine (20-64 anni), è donna il 23,3%. Gli uomini sono il 17,8%. Il gender gap, tuttavia, diminuisce per gli occupati a termine da più di cinque anni: 23,7% donne, 20,8% uomini. Dove il differenziale è più sensibile, è in tema di salari. Tra i dipendenti con bassa paga, il 19,2% sono femmine. Maschi il 12,6%. Per bassa paga, si intende una retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana, per l’anno 2020. Ma in Campania, il gap maschi-femmine diventa voragine tra gli inattivi per motivo. Nel 2023, le donne risultano 983.483. Meno della metà gli uomini: 415.832.
Nel dettaglio, le ragioni dell’inattività vedono 181.703 femmine “scoraggiate”, a fronte di 125.707 uomini. Nulla a confronto del motivo familiare. Esso tocca ben 387.484 donne, rispetto a soli 19.151 uomini. Per ragioni di studio, sono poi inattive 124.669 donne: 98.100 gli uomini. Il rapporto si ribalta, inoltre, alla voce “aspetta esiti”: 31.929 maschi, 27.621 femmine. In 140.524 donne, al contrario, sono inattive per motivi di pensione, o perché “non interessa”. Relegate ad “altro motivo” sono 121.482 donne inattive, mentre gli uomini si fermano a 108.305.
Rilevante pure il fenomeno della “fuga di cervelli”. Non sono disponibili dati campani, ma dall’Italia emigrano sempre più laureate. Nel periodo 2002-2021, hanno lasciato il Paese in 138.386 (98.987 dal Centro-Nord e 39.999 dal Mezzogiorno). Una perdita netta (al netto dei flussi in entrata provenienti dall’estero) di -71.606 “talenti” femminili (il 47% della perdita netta di laureati italiani). Massiccia anche la migrazione femminile dal Sud al Nord. “Testimoniano – spiega la Svimez – la scarsa capacità di “assorbimento” del mercato del lavoro femminile nelle regioni del Sud i dati allarmanti sulle migrazioni verso il Centro-Nord, destinazione scelta da oltre 739.869 donne“. In media, ogni anno circa 36.993 donne meridionali si trasferiscono in una regione centro-settentrionale, flusso rimasto piuttosto costante negli anni. “Al contrario – aggiunge la Svimez -, in crescita la migrazione femminile da Sud verso l’estero, con valori quasi raddoppiati rispetto ai primi anni 2000. Il fenomeno registra un’intensificazione particolarmente significativa tra il biennio 2015-2016 (+18,7%), fino al picco dl 2019 di 15.476 partenze verso una destinazione estera“. L’effetto “selettivo” delle migrazioni interessa più le donne solo per i flussi provenienti dal Mezzogiorno. Al Sud nel 2022 la quota di laureate, sul totale emigrate, ha raggiunto il 46% contro il 37% del Centro-Nord, anche maggiore della quota di laureati uomini che hanno lasciato il Centro-Nord (il 45%).