Lo stupro di gruppo di Catania ai danni di una 13 enne presenta impressionanti analogie con la violenza che è stata costretta a subire lo scorso 7 luglio una diciannovenne palermitana, abusata da sette coetanei, uno dei quali minorenne. Anche in questo caso, infatti, ad agire è stato un branco composto da sette ragazzi. Lo sottolinea il procuratore capo presso il Tribunale dei minorenni di Palermo, Claudia Caramanna, che in un’intervista al Giornale di Sicilia parla di un fenomeno drammaticamente diffuso e punta il dito contro i social.
“Dalle notizie che ho potuto leggere – dice – le due vicende sembrano molto simili. Alla base di tutto c’è l’amara constatazione che i giovani sono sempre sono sempre più violenti e che si comportano con le donne come se fossero degli oggetti.
Non hanno nessuna empatia per le vittime, non capiscono le sofferenze che possono provocare e comunque non se ne curano affatto. I social hanno fatto da cassa di risonanza ai modelli negativi: quasi tutti, infatti, fanno i video e poi li postano per mostrare agli amici cosa hanno combinato. Ma, grazie al decreto Caivano, qualcosa sta cambiando, non c’è più quella sensazione di impunità per il fatto di essere minorenni: ora possiamo intervenire arrestando chi si macchia di crimini gravi”.
Il procuratore analizza gli ultimi episodi di cui si è occupata: “Abbiamo registrato un forte incremento delle lesioni personali e di risse in cui sono coinvolte baby gang o ragazzi che hanno superato da poco la maggiore età. È l’ennesimo segnale della rabbia e del disagio che agita questa generazione, acuiti probabilmente a causa delle restrizioni provocate dal Covid”.
Il magistrato sottolinea infine che la violenza è assolutamente trasversale, e non riguarda soltanto giovani stranieri come nel caso di Catania. “La nazionalità non c’entra.
Le famiglie, in particolare quelle che vivono in contesti difficili, non sempre riescono a trasmettere i giusti valori ai loro figli. Ma è anche vero che tanti ragazzi sono stati lasciati soli dalle Istituzioni in quartieri dormitorio dove non c’è nulla: le risorse sono poche ma bisogna agire al più presto aumentando il personale dei servizi sociali mettendo a disposizione strutture per ricreare quel senso di comunità che, in questi posti, è andato perduto”.
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