Risanamento di Bagnoli, 1.2 miliardi di fondi da trovare: molti gli interrogativi. Metà delle risorse servirà per la bonifica a mare. Bagnoli attende la balneabilità da tempo immemorabile. Uno snodo decisivo, anche per la vocazione turistica. Sul punto, è chiara la relazione del commissario di governo, il sindaco Gaetano Manfredi. La fine dei lavori è prevista a “circa 4 anni” dal loro inizio. Cioè, se cominciassero oggi, avverrebbe nel 2028. Ma prima bisogna reperire i fondi. Anche qui la relazione, presentata ieri in consiglio comunale, è altrettanto netta. All’appello mancano 629,1 milioni. Spiccioli, al confronto, i finanziamenti disponibili oggi: 19.5 milioni. Ovviamente, Manfredi ricorda che il “reperimento fondi” è “condizione propedeutica all’avvio dei lavori”. Assieme ad essa, la conclusione della VIA nazionale (Valutazione di impatto ambientale, ndr) e la “approvazione progetto in CdS” (Conferenza dei Servizi, ndr).
Ma il nodo gordiano a Bagnoli, da sempre, è la rimozione della colmata. Ovvero, la striscia di 195.000 mq di materiale di risulta, proveniente dall’ex insediamento siderurgico. Il sindaco-commissario ha “richiesto al Soggetto Attuatore (Invitalia, ndr) una valutazione economica dell’eventuale messa in sicurezza della colmata in alternativa alla sua rimozione”. In pratica, si tratterebbe di “sigillarla”. Per i costi del progetto alternativo “si è specificato che tale stima non era ottenibile senza i necessari approfondimenti progettuali e mediante un progetto di pari livello di quello già consegnato”. Al momento, l’opzione principale resta però la rimozione. Rientra infatti nel progetto definitivo, trasmesso lo scorso 2 agosto. Oltre all’eliminazione della colmata, comprende la bonifica degli arenili, il risanamento dei sedimenti marini e i test di dimostrazione tecnologica.
L’AUMENTO DEI COSTI
Un capitolo della relazione si intitola “Ulteriore fabbisogno finanziario per l’attuazione del PRARU (Programma di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana, ndr)”. Cioè, del perché servono altri fondi. E tanti. Questo nonostante i circa 800 milioni di euro già spesi negli anni. “Il complessivo fabbisogno ulteriore – stimato dal Soggetto Attuatore Invitalia Spa sulla base dei livelli di progettazione raggiunti – si attesta – si legge – su circa 930 milioni di Euro, di cui 302 per il completamento delle bonifiche a terra e per le infrastrutture e 629 per il risanamento marino (oltre IVA), finalizzato, tra l’altro al recupero della balneabilità della baia di Bagnoli”. Ma non finisce qui. “Se a queste – precisa il documento – si aggiungono le risorse necessarie per la realizzazione del parco urbano e del waterfront – che ammonta ad ulteriori 288 Min € circa – il fabbisogno complessivo totale è pari a circa 1.220 Milioni di Euro”. La cifra monstre aggiuntiva “è sostanzialmente riconducibile da un lato al significativo incremento dei costi – previsti nelle relative progettazioni definitive – per la realizzazione delle infrastrutture nonché delle bonifiche a mare e a terra”. A pesare, secondo il commissariato, sono “in particolare, le revisioni dei prezzi” previsti dal decreto Sostegni ter.
Tali disposizioni “hanno determinato notevoli incrementi nel quadro economico delle infrastrutture”. Nel dettaglio, si fa riferimento “alle soluzioni di progetto che si sono rese necessarie per migliorare il sistema di pre-trattamento dei reflui e degli scarichi a mare rispetto a quanto inizialmente previsto”, nel Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica. L’incremento del costo del risanamento marino “è dovuto, invece, a diversi fattori”. In primo luogo “la disponibilità di dati relativi alle correnti marine più accurati che hanno consentito di valutare concretamente le modalità di intervento”. Il richiamo è alle “tecniche di ‘capping'”. Una sorta di ‘tappatura’ “delle aree nelle quali i sedimenti contaminati non verranno trattati”. Altra “significativa differenza è dovuta proprio al trattamento dei sedimenti marini contaminati che, in taluni casi, richiedono una doppia tecnologia: soil washing e desorbimento termico”.
Ci sono poi i rincari delle bonifiche a terra. Svariate le cause addotte. E talune evocano interventi del passato, sui suoli inquinati. La relazione menziona la “caratterizzazione integrativa dei terreni con evidenza di contaminanti ulteriori rispetto a quelli rilevati in precedenza, sulla scorta delle intervenute prescrizioni degli enti di controllo a tutela delle bonifiche”. Troviamo anche una “maggiore estensione delle aree da trattare (incluse le aree già bonificate e trattate)”. Inoltre pure un “diverso mix di tecnologie utilizzate rispetto a quelle inizialmente ipotizzate”. E non manca un “avanzamento dei livelli progettuali delle bonifiche e quindi maggiori interventi prescrittivi di dettaglio”. Fanno capolino pure le “interazioni con gli sviluppi progettuali di rigenerazione e infrastrutture”. E, tanto per gradire, c’è l’incremento “dei prezziari regionali di riferimento”. Il conto è assai salato.