Un detenuto ergastolano di 40 anni si è suicidato impiccandosi in una cella del carcere di Poggioreale a Napoli. Lo rende noto Aldo Di Giacomo, segretario generale dell‘Osapp. L’uomo si è tolto la vita nel reparto Torino del penitenziario partenopeo. Era di Nola ed stato condannato per aver ucciso la compagna.
“Si tratta – dice Di Giacomo – dell’ennesimo gravissimo episodio all’interno del carcere. E’ uno stillicidio. Chi ne paga le conseguenze sono i più giovani e coloro che hanno problemi psichiatrici come questo detenuto. Occorre che il Governo si faccia carico di questa situazione. Non è più possibile assistere a questa che è una vera e propria strage”.
“Un detenuto di 31 anni, di origine campane, con problemi psichici e con condanna all’ergastolo, si è suicidato oggi nel carcere di Poggioreale-Napoli. È il quinto suicidio nei penitenziari italiani in appena due settimane del nuovo anno a cui aggiungere altre sei vittime “per altre cause”. Nel 2023 i suicidi sono stati 69 più 88 detenuti morti “per altre cause”. Rispetto alla popolazione carceraria media annuale, nel 2022 ci sono stati 15,2 suicidi ogni 10 mila persone, mentre nel 2021 erano stati 10,8 ogni 10 mila”. Per Aldo Di Giacomo, vice segretario generale Osapp “è il segnale di fallimento del sistema penitenziario italiano, così come gestito, che non garantisce nemmeno la vita delle persone che ha in custodia. L’identikit del detenuto suicida si caratterizza per età (sempre più giovane) e per problemi mentali. Anche quest’ultima vittima non avrebbe dovuto trovarsi in cella ma in una struttura di cura e salute mentale. Invece, nonostante siano alcune migliaia i detenuti con problemi mentali i numeri dei ricoverati continuano a rimanere inferiori ai 600, corrispondenti alla capienza massima dei posti disponibili in Rems (i ricoverati in Opg, prima della chiusura, avevano sempre oscillato sopra quota 1.000); 131 (il 22%) sono stranieri e 71 donne (il 12%). Una carenza, quella delle cure psichiatriche, comune a tutte strutture carcerarie, dove la presenza di detenuti che fanno uso di stupefacenti sfiora il 60% e non si contano i ristretti con disturbi psichici, prova ne è l’aumento dei suicidi dietro le sbarre. In questa situazione caratterizzata dalla grave carenza di psichiatri e psicologi nelle carceri la politica si dimostra completamente assente salvo a rammaricarsi nei casi di suicidio. A tutto questo si aggiunga un generalizzato clima di tensione. Non basta più ammettere, come avviene in ambienti politico-parlamentari, che le Rems si sono rivelate un fallimento come noi sosteniamo da lunghi anni. Né tanto meno che il Ministero della Giustizia sta pensando cosa fare, perché con le Rems, del tutto inadeguate a contenere i soggetti più pericolosi, sono state restituite al carcere centinaia di soggetti psichiatrici, la cui gestione pone oggi enormi problemi di sicurezza al personale penitenziario che non può svolgere funzioni di “assistenza psichiatrica” e agli altri ristretti”.
“Mi colpisce la grande determinazione con cui il detenuto 40enne di Poggioreale si è suicidato a metà mattinata oggi. Era a rischio suicidario da un anno, era seguito e monitorato. Chi cura i malati mentali liberi o persone con sofferenza psichica? Il Dipartimento di Salute Mentale. Bene! Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è formato da psichiatri, psicologi, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori, oss. Dunque per curare la malattia mentale non occorre solo lo psichiatra, motivo per il quale anche in carcere, per curare i malati mentali occorrono queste figure professionali, dunque una U.O.S.D. (Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale). Così come esiste un SerD Area Penale, che è uguale ad un SerD esterno, deve esistere una Unità Operativa Semplice Dipartimentale di Salute Mentale in carcere”, così Samuele Ciambriello Garante campano delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale dopo il suicidio a Poggioreale di un giovane detenuto.
Il Garante Ciambriello conclude: “Sono tante le motivazioni per cui singoli detenuti scelgono di suicidarsi, è chiaro che il coinvolgimento in attività trattamentali interne, più rapporti con il mondo esterno, più personale specializzato, può ridurre sia le forme di autolesionismo sia i tentativi di suicidio che sono centinaia nella nostra Regione. Lo scorso anno non c’è stato appunto una strage per il pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria, a cui va la mia gratitudine. Ma ripeto, Andrea pur ben seguito da un anno, visto che era nel protocollo di rischio suicidario, ci costringe a mettere in campo qualche proposta operativa in termini di personale specializzato, attività trattamentali e relazioni con il mondo esterno, perché i suicidi in carcere sono anche il prodotto di un clima culturale, per la maggioranza della politica e anche della società civile, per cui il carcere è un posto esterno alla società, da dimenticare, non da cambiare”.