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Di fronte a certe tragedie ingiuste, c’è il diritto acquisito a non usare toni diplomatici. “Mi sento molto delusa e amareggiata, la storia di Peppe è stata dimenticata” dice Carmela Sermino, vedova di Giuseppe Veropalumbo. Quanto accaduto a Capodanno tra Napoli e provincia è un incubo di ritorno, per questa giovane donna. Erano gli ultimi minuti del 31 dicembre 2007 a Torre Annunziata. Giuseppe aveva 30 anni, lavorava come carrozziere. Una moglie e una figlia di 16 mesi. Con una ventina di amici e familiari aspettava la mezzanotte nel suo appartamento, al nono piano di uno stabile di corso Vittorio Emanuele. Un proiettile vagante lo uccise. L’assassino non si è mai trovato.

Non si dovrebbe morire per una festa, non andrebbe mai usata la pistola per celebrare il nuovo anno. Ma a Napoli è successo ancora. Due pallottole esplose durante l’ultimo San Silvestro: una donna ammazzata ad Afragola, in provincia, un’altra ferita a Forcella. Ma accadde anche 12 mesi dopo l’omicidio Veropalumbo. Ai Quartieri Spagnoli, un proiettile freddò il 25enne Nicola Sarpa, affacciato al balcone durante i festeggiamenti. Una follia senza fine. Ma c’è chi si ribella. “Se la storia di mio marito – sostiene Carmela – fosse stata ricordata attraverso le scuole, le associazioni, che fanno tanta memoria, tanto per l’anticamorra, forse si sarebbe sensibilizzato un po’“. Lei rivela: “Dopo quanto successo stanotte mi è sembrato di rivivere la mia situazione”. Così comincia uno sfogo, ma non sono parole fini a se stesse. Il lutto non ha annientato Carmela, ma ne ha fatto una paladina della legalità. Ha fondato un’associazione intitolata al marito, vittima innocente della criminalità. Però nessuno da solo può cambiare le cose. “Non dico tutto l’anno, ma se nel periodo di dicembre iniziassero a parlare di Peppe, a raccontare quello che può capitare…”. Carmela lancia un appello “a scuole e associazioni, per fare un grandissimo lavoro”. Partendo da vicende come la sua. “Si inizierebbe a capire, e qualcuno potrebbe ravvedersi, evitando di festeggiare in questo modo. Ogni anno aumentano gli spari”.

Non c’è rassegnazione nelle sue riflessioni, nonostante tutto. “Dobbiamo lottare contro questo costume, e sensibilizzare la gente. Se ci fossero pene severe per i responsabili, ci penserebbero 2-3 volte prima di farlo”. La voglia di combattere c’è, ma la collera pure. “Fa ancora più rabbia – spiega Carmela – sentir dire che a Napoli si usa così, che si sa: il 31 dicembre si spara con le armi. Ma perché?”. Non è fatalismo quello di molti: “Queste morti così assurde vengono giustificate dall’ignoranza”. E allora bisogna ripartire dalle scuole, dai giovani. Ma insieme all’impegno pubblico, riemerge un dolore privato. “Mi metto nei panni della famiglia della vittima, che si è trovata un morto in casa inaspettatamente – ragiona Carmela -. In questo momento si stanno chiedendo perché“. Ed ecco il secondo messaggio: “Non li conosco ma sto vivendo la loro rabbia. Li vorrei incontrare, magari con calma”. Solo insieme ci si può rialzare.