Altro che Ignazio “il nero” tra le “toghe rosse”. Al congresso nazionale di Magistratura Democratica, a Napoli, La Russa mostra il volto dialogante del centrodestra. Lo aiuta la grisaglia istituzionale, da seconda carica dello Stato. “L’accoglienza degli organizzatori mi ha riempito di orgoglio” cinguetta. “Un’esperienza positiva” conferma al termine Cinzia Barillà, presidente di Md. La Russa è l’unica figura istituzionale a raccogliere l’invito della corrente progressista dell’Associazione nazionale magistrati. E precisa: non è un segnale di pace, perché “non eravamo in guerra”. È qui per cucire, non per strappare. In mattinata ha incantato la platea Nichi Vendola, paladino dei diritti arcobaleno. La Russa non può osare tanto, ma alla fine riceve timidi applausi. “Tanto la Magistratura quanto Governo e Parlamento – prova a mediare – sono chiamati all’analisi nella ricerca di equilibrio tra la tutela dei diritti e delle libertà consolidate da un lato e il riconoscimento e tutela nuovi diritti e nuove libertà dall’altro”. Si dice convinto che “la strada delle riforme sia ancora molto lunga, e non solo connessa alla giustizia”.
Parlando proprio della riforma, evoca un martire della magistratura come Rosario Livatino, ucciso nel ‘90 in Sicilia dalla Stidda. Le parole del giudice ammazzato, di recente, le ha ricordate il sottosegretario di Palazzo Chigi, Alfredo Mantovano. Incarnano il modello cui tende il governo. “Il giudice Livatino – spiega La Russa -, diceva ‘il magistrato altro non è che un dipendente dello Stato al quale è affidato lo specialissimo compito di applicare le leggi, che quella società si dà attraverso le proprie Istituzioni, in un momento di squisita delicatezza del loro operare: il momento contenzioso. Per ciò stesso il magistrato non dovrebbe essere una realtà sul cui mutamento ci si debba interrogare: egli è un semplice riflesso della legge che è chiamato ad applicare”. È uno schema lontano da Magistratura Democratica. Per MD il magistrato – attraverso l’interpretazione delle norme – contribuisce all’evoluzione del diritto, e non solo. Anche qui però il presidente del Senato smorza: “Ebbene, io questa citazione la inquadro in un momento di minore tensione di dibattito rispetto ad oggi, forse oggi Livatino sarebbe più cauto”. Se infatti “è vero quel che dice Livatino, è anche vero che nel frattempo la società cambia ed è giusto che anche i magistrati si sforzino di interpretarla e capirla sempre”. Anche se “nel momento del giudizio sono servi della legge, come lo siamo tutti“. Un capolavoro di equilibrismo.
Lo sforzo però non basta a colmare le distanze. Subito dopo sul palco sale Stefano Musolino, segretario di Md. A La Russa dà atto di esprimere “volontà di ascolto”. Ma i convenevoli finiscono qui. “Ho grande rispetto per Rosario Livatino e la sua storia, ma – dice il magistrato – quelle parole sono incongrue rispetto all’attuale modello di magistrato, che non è più chiamato soltanto a confrontarsi con i principi costituzionali, ma è inserito in un contesto ordinamentale molto più vasto, che corrisponde al mondo sovranazionale, che talvolta ha un’applicazione diretta nel nostro ordinamento“. Non si sono spenti gli echi del caso Apostolico, la giudice di Catania, che ha disapplicato le norme più restrittive in materia di immigrazione. “Quest’applicazione – avverte Musolino – è resistente a qualunque tentativo da parte del parlamento nazionale di voler restringere“. Il segretario di Md ribadisce: “Abbiamo il diritto e il dovere di tutelare i diritti fondamentali protetti dalla Costituzione, ogni qualvolta una contingente maggioranza politica possa decidere invece di non farne corretto uso”. La Russa, in prima fila, incassa impassibile.