Per la Dda di Napoli dal 2015 era lui il capo dei Di Lauro. Vincenzo Di Lauro, 48 anni, secondogenito del fondatore Paolo Di Lauro, è tra i 27 arrestati ieri nel blitz dei carabinieri, coordinati dalla Dda di Napoli (pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano). Più “colletto bianco” che “camorrista di sostanza“, per alcuni pentiti, Enzo è noto agli affiliati come F2. Un codice identificativo, secondo l’ordine di anzianità tra i dieci rampolli del boss, rivelato da documenti sequestrati anni fa. Per l’anticamorra, a decretarne la leadership è stata la “chiara regola del comando e gestione del clan risalente a Paolo Di Lauro“. Il padre avrebbe stabilito che “l’organizzazione criminale è governata dal fratello maggiore in libertà”. Di suo Enzo ci avrebbe messo una dimensione nuova per l’organizzazione malavitosa. Sarebbe “rispetto ai numerosi fratelli – si legge nell’ordinanza cautelare del gip Luca Della Ragione -, una persona che ha intrapreso la strada della discontinuità nelle scelte criminali del clan. Egli considera infatti il clan come una sorta di ‘azienda di famiglia’ ed i metodi camorristici come mezzo necessario per raggiungere finalità che sono essenzialmente economiche (commerciali, finanziarie ecc.) e non principalmente per affermare il dominio sul territorio, che non è più l’elemento costitutivo unico ed essenziale su cui ruota la vita criminale della sua consorteria“. In tal senso, “ha ‘modernizzato’ una consorteria già tristemente famosa per le sanguinose faide scatenate nel primo decennio del secolo”. Per gli inquirenti “il capoclan Di Lauro Vincenzo ha infatti evitato il ricorso, ove possibile, a mezzi esplicitamente violenti, che ha in sostanza subappaltato a consorterie più navigate nel contesto dell’uso della violenza“. Il riferimento è al clan della Vinella Grassi, riavvicinatosi ai Di Lauro dopo la prima faida di Scampia. Tra le due cosche ci sarebbero rapporti “spesso così stretti da potersi parlare dapprima di joint venture e, successivamente, di vera e propria alleanza organica, o partnership“.
Enzo Di Lauro viene ritratto come “una sorta di ‘padre nobile’, garante sul territorio anche delle frange vinelliane che, colpite da numerosi provvedimenti giudiziari, tentano faticosamente di riorganizzarsi, nonchè arbitro delle loro intemperanze“. Scarcerato nel gennaio 2015, F2 è stato successivamente sottoposto alla libertà vigilata. Tornato libero “ha inteso riprendere le redini del clan – afferma l’ordinanza -, in quel momento guidato ‘da remoto’ dal fratello” Marco, il quartogenito catturato nel marzo 2019, dopo 15 anni alla macchia. Per gli investigatori, al momento della scarcerazione, si sarebbe manifestata una “problematica gestione congiunta“. Cioè Enzo da un lato, Marco e il sestogenito Salvatore dall’altra. Un risiko complesso, “che comportava due visioni non coincidenti delle attività criminali del clan, con non pochi problemi interni“. Il rompicapo, però, avrebbe trovato “una inattesa soluzione il 2.3.2019, allorchè Di Lauro Marco viene arrestato, tradito da Tamburrino Salvatore“, l’uomo che ne gestiva la latitanza, oggi collaboratore di giustizia ritenuto cruciale.
Tra le carte d’inchiesta, spunta pure il presunto tentativo di procacciarsi una perizia medica. L’obiettivo sarebbe stato certificare “l‘incompatibilità con il regime carcerario” di Enzo Di Lauro, nel 2011 detenuto al 41 bis nel carcere di Parma. A provarci sarebbe stato Giuseppe Prezioso, ritenuto affiliato fedelissimo a Cosimo Di Lauro, il primogenito morto in carcere l’anno scorso. In un’intercettazione sull’utenza in uso a Tamburrino, Prezioso telefonava ad un infermiere del Cardarelli. Secondo gli investigatori, il dipendente dell’azienda ospedaliera “precisava all’interlocutore di aver già contattato, di persona, un medico, verosimilmente in servizio all’Ospedale Cardarelli, disponibile a sottoscrivere una perizia in favore di Di Lauro Vincenzo“.