Due i possibili scenari, per la crisi di bradisismo nei Campi Flegrei: uno critico l’altro meno. A spiegarli è stato Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in audizione alla commissione Ambiente della Camera.
Il primo: “O come nel 1982-84 questa crisi continua a salire ancora un po’, a dare sismicità, poi si ferma, e il sistema inizia a raffreddarsi in profondità, quindi si riabbassa al suolo“. Oppure “una situazione più drammatica sarebbe quella che continuasse e portasse un domani a un’eruzione, o a un’eruzione freato-magmatica (un’interazione fra magma ed acqua, ndr)”.
Secondo lo studioso, “al momento la peggiore situazione potrebbe essere quella di avere un’eruzione tipo quella del Monte Nuovo, ma non sappiamo né quando né se“. Il precedente evocato data addirittura 1538. Il vulcano, oggi vicino al lago di Lucrino, si formò tra il 29 settembre e il 6 ottobre. L’eruzione distrusse il villaggio medievale di Tripergole.
Doglioni precisa: si tratta di “un’eruzione di relativamente piccoli volumi, ma comporterebbe comunque un disagio sociale estremamente elevato“. Sono comunque “evoluzioni che non conosciamo, e che monitoriamo“.
Rispondendo ai commissari, il geologo denuncia come “non abbia senso continuare a costruire all’interno della zona rossa, nel momento in cui sappiamo che lì dentro inevitabilmente prima o poi ci sarà un’eruzione“. Ma c’è da fare una premessa metodologica. “Più sono frequenti le eruzioni – ricorda Doglioni –, più sono effusive, e quindi con minore esplosività e minore violenza. Più si allunga il tempo tra un evento e l’altro, più si accumula un gradiente di pressione e magma all’interno della camera magmatica“. Ad esempio, “prima del 1944 le eruzioni del Vesuvio erano decisamente più frequenti, ogni 20-30 anni. Adesso sono circa 70 anni che non avvengono“.
Ecco perché il vulcano – estraneo alla crisi nei Campi Flegrei – è per l’Ingv un “sorvegliato speciale“. Viceversa “da quando studiamo le eruzioni dei Flegrei – afferma Doglioni –, ne abbiamo oltre una settantina esplosive, e 10-15 effusive, l’ultima è stata quella che ha prodotto il Monte Nuovo“. Sempre per ipotesi, “se l’eruzione avvenisse nella baia di Pozzuoli, che è parte della caldera, e se fosse esplosiva si potrebbe generare un terremoto“.
Tuttavia, per tracciare un parallelo: se il Monte Nuovo “è stata una piccola eruzione, di dimensioni inferiori al chilometro cubo“, quello “che si sta attualmente accumulando sotto i Campi Flegrei, è inferiore circa a un decimo di chilometro cubo“.
Ripercorrendo la storia sismica del territorio, il presidente dell’Ingv riferisce che il bradisismo “si è riattivato più di dieci anni fa, solo che sta aumentando la velocità con cui il suolo si sta innalzando. Questa velocità di innalzamento produce la sismicità che conosciamo“.
Ad oggi “per quanto ne sappiamo, il magma si trova ad una profondità di 5-6 chilometri, quindi non è in vicinanza della superficie“. Anche se, “è bene sapere che nel caso riuscisse a trovare vie di fuga per la risalita, i tempi sarebbero estremamente rapidi. Nell’ordine anche delle ore, se non al massimo di qualche giorno”. Doglioni non nasconde che “siamo estremamente preoccupati, è massima l’attenzione“.
C’è allerta pure per l’incolumità di chi monitora il fenomeno, a causa delle temperature in zona rossa. Si parla di 95, anche 105 gradi, “già a 40-50 metri di profondità“. Questo potrebbe “dare delle piccole esplosioni freatiche“, e “gli operatori che si trovassero lì rischiano“.
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Scosse Campi Flegrei, il presidente Ingv: “Due scenari, quello più critico evolve in un’eruzione”
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