“A essere depredato è stato il sottosuolo di Canosa che è un sorta museo di valore inestimabile. E i tombaroli lo sanno”. Lo ha detto il capo della procura di Trani, Renato Nitti, nel corso della conferenza stampa in cui sono stati illustrati i dettagli dell’operazione chiamata “Canusium” che ha portato alla esecuzione di 21 misure cautelari nei confronti di un gruppo specializzato nel traffico illegale di reperti archeologici.
In 4 sono finiti in carcere – Carmine Crispino, originario di Cimitile (Napoli), Paolo Treviso di Ordona (Foggia), Antonio Tarantino di Canosa di Puglia (Barletta-Andria-Trani) e Paolo Carella di Lavello (Potenza) – in 12 agli arresti domiciliari e altri cinque sono stati sottoposti a obblighi di firma e dimora. Le accuse, a vario titolo, sono associazione per delinquere finalizzata allo scavo clandestino, furto, ricettazione ed esportazione illecita di reperti archeologici e numismatici. Nella corposa ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Trani, Ivan Barlafante, vengono ricostruite le modalità con cui il gruppo “con una organizzazione piramidale” era solito muoversi. “Alla base ci sono i tombaroli che individuano la zona in cui scavare e recuperare i reperti tra cui preziose monete in oro il cui valore si aggira attorno ai 50-60mila euro”, ha puntualizzato Nitti aggiungendo che “c’è poi un doppio livello di ricettatori: il primo ha contatto diretto coi tombaroli, il secondo con i trafficanti internazionali”.
Sono stati 3.600 i reperti recuperati e sequestrati “di cui è impossibile stimare il valore perché incommensurabile”, ha evidenziato il comandante del nucleo di tutela del patrimonio culturale dei carabinieri Giovanni Di Bella. “La premessa è la straordinarietà del territorio, specie di Canosa – ha continuato il procuratore –; Canusium, dal punto di vista storico, rappresentava un momento straordinario perché per un certo periodo è stato il centro romano di maggiore importanza, è stato il capoluogo di Apulia et Calabria quindi di quella che corrisponde oggi alla Puglia. Questo aspetto, unito alla morfologia del territorio, ha permesso di realizzare nel sottosuolo di Canosa un museo non ancora scoperto dove c’è una quantità di reperti straordinaria che la realtà canosina e la sovrintendenza hanno consentito solo in parte oggi di valorizzare e che, purtroppo, sarebbe costantemente depredata se non ci fosse lo sforzo dei carabinieri del nucleo tutela del patrimonio”.