Tempo di lettura: 3 minuti

Un 13enne e un 15enne accoltellati stanotte al centro di Napoli, uno è in prognosi riservata; un 14enne fermato per tentato omicidio di uno dei feriti; un 15enne massacrato da una babygang a colpi di tirapugni, 6 giorni fa, al Vomero.

“Questa è assolutamente l’ennesima ondata di violenza giovanile” denuncia Paolo Pace, consigliere della rete Per alla quinta municipalità Vomero-Arenella, con deleghe all’Osservatorio sulle politiche di contrasto al disagio minorile e al Patto Educativo. Il suo bagaglio professionale parla di un’esperienza ultratrentennale in Polizia penitenziaria, nell’universo dei minori. “Soltanto ieri – esemplifica – i carabinieri della compagnia Vomero hanno arrestato per detenzione e spaccio di droga un minorenne residente nella quinta municipalità, di buona famiglia: in casa aveva quasi 600 grammi di sostanza stupefacente”. Questo per ammonire: “Siamo sempre portati a pensare che questi fatti riguardino solo i ragazzi dei territori disagiati. Ma ci sono anche comitive provenienti dai quartieri della cosiddetta ‘Napoli bene'”. Per Pace “siamo quasi a un punto di non ritorno”. Le cause sono molteplici, come pure le responsabilità. “Il mondo degli adulti è sempre più preso da altro, siamo in ritardo – afferma -. Qui la rete, che già esiste sul territorio, o decide una buona volta di cooperare o di questi episodi ne sentiremo ancora”.

Il consigliere si rivolge alla filiera delle istituzioni: “Magistratura minorile, forze dell’ordine, servizi sociali, scuola, chiesa, volontariato. Devono interagire di più e condividere le modalità di azione. Perché talvolta, forse involontariamente, ci sono fughe in avanti. Bisogna camminare assieme”. Con rabbia, Pace sbotta: “Basta protagonismi, che aspettiamo a fare rete? Nessuno si salva da solo, come dice Papa Francesco”. Poi si chiede retoricamente: “La rete si interroga su cosa fa un 13-14enne alle quattro del mattino in strada?”. E tanto per essere chiari, “non ha nemmeno senso abbassare l’età imputabile se la rete non funziona, se non intercetta il minore prima del compimento di reati”. Il quadro, secondo Pace, è più o meno così: “A questi ragazzi lo Stato, durante il trattamento penale nelle strutture minorili, dà cura ed offre una prospettiva di recupero, dandogli quanto non hanno avuto prima: istruzione, imparare un mestiere. Ma sono il prima e il dopo a essere assenti”.

La violenza giovanile, spesso efferata, affonda le radici nei comportamenti di massa. “Le nuove generazioni – osserva il consigliere municipale – sono state contaminate da questi stili di vita, decodificati attraverso soprattutto i social, e anche il ragazzo più tranquillo rischia di esserne assorbito. Ovvero dimostrare qualcosa per essere accettati dal gruppo, dimostrare di cavarsela da soli, di avere qualcosa col minimo sforzo. Di uscire di casa con mille euro di capi d’abbigliamento addosso. Reagire a uno sguardo di troppo”. Un coacervo di atteggiamenti antisociali, sfocianti in aggressività. La ricetta del contrasto, però, è sempre “la rete tra istituzioni – invoca Pace-: servono tavoli permanenti dove dialogare tutti ogni 15-30 giorni su queste situazioni”. Altrimenti non se ne viene fuori.