Mergellina, campo neutro nel rodeo tra gruppi camorristici. Emerge questo scenario, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa a carico di Francesco Pio Valda, 19enne accusato dell’omicidio volontario di Francesco Pio Maimone, coetaneo morto nella sparatoria tra sabato e domenica sul Lungomare di Napoli. Omicidio aggravato dal metodo mafioso, appunto. E sull’aggravante contestata – oltre ai futili motivi – si dilunga un paragrafo del provvedimento, firmato dal gip Maria Luisa Miranda del tribunale di Napoli, che ha accolto la tesi della Dda partenopea. “Quanto accaduto – scrive il giudice – si inserisce, purtroppo, in una lunga scia di episodi di violenza che si ripetono con frequenza quasi quotidiana e dimostrano come vi sia un’allarmante trasposizione delle contrapposizioni tra i gruppi criminali, ai quali i protagonisti appartengono, dai territori di origine al centro cittadino”.
Nella ricostruzione, “giovani appartenenti alle famiglie di camorra si incontrano, armati, in territorio “neutrale”, ed assumono atteggiamenti spavaldi e di prevaricazione nei confronti di altri gruppi pronti a raccogliere la sfida lanciata anche per motivi futili. Lo sfondo del delitto sarebbe di camorra, dunque. Pur essendo la vittima estranea alla criminalità organizzata, e perfino alla lite sfociata negli spari. Ovvero, una rissa tra Valda e altri giovani del Rione Traiano, uno dei quali reo di avergli urtato le scarpe Louis Vuitton, un modello “da mille euro”. Secondo l’ordinanza, “le indagini danno atto della presenza di almeno due gruppi, ciascuno composto da numerosi soggetti e dotato di armi”. Da un lato, infatti, ci sarebbe il gruppo di Valda “composto da soggetti che gravitano nella sfera del clan Aprea” di Barra. La cosca è la stessa di cui il padre del ragazzo arrestato, Ciro Valda – ucciso in un raid nel 2013 – era considerato elemento di spicco. Dall’altro lato il gruppo del Rione Traiano. Nella rissa, infatti, risultano coinvolti un pregiudicato 50enne, ascoltato dagli inquirenti. Ha ammesso di aver sferrato un calcio a Valda. Lo stesso vale per altro soggetto, “coinvolto in numerose indagini svolte sul territorio”.
L’uomo sostiene di essere “intervenuto per dividere” i litiganti, cioè Valda e un suo amico. “Ed è chiaro che – sottolinea il gip – il litigio iniziale avvenuto per futili motivi non sia stato altro che il pretesto per reagire dimostrando la propria forza derivante dall’appartenenza ad un’organizzazione di camorra (…). Si tratta di un’azione dimostrativa eclatante, efferata che dimostra il senso di impunità e il desiderio di appropriazione del territorio da parte dei gruppi criminali, a discapito dei residenti e degli altri avventori degli chalet di Mergellina”.
Il giudice evidenzia che anche “lo scontro verificatosi in una zona ‘neutrale’ ma sulla quale appare evidente che giovani criminali intendono operare una sorta di controllo”, tra le altre cose, depone “per la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso”. Come pure “è mafioso, uscire di casa armati con pistola carica e pronta all’uso per ‘qualsiasi evenienza’; è mafioso insorgere, e provocare anche solo una rissa, a causa di una pestata di piedi; è mafioso sparare all’impazzata per reagire a quello che si ritiene uno sgarro o un affronto; è mafiosa la prepotenza e l’arroganza; è mafiosa la volontà di volere dimostrare a tutti i costi il proprio il predominio; attraverso la violenza e l’uso di armi (…); è mafioso ritenere più rilevante un paio di scarpe della vita umana”. E la lista sembra allungarsi sempre.