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Prime richieste di condanna – un totale di 50 anni di carcere – per nove persone imputate nel processo con rito abbreviato per gli appalti di Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) aggiudicati a ditte ritenute colluse con il clan dei Casalesi dietro il pagamento di tangenti in danaro e regali. Il pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Graziella Arlomede ha infatti chiesto otto anni per l’esponente di spicco dei Casalesi Dante Apicella, condannato anche nel maxi-processo Spartacus, 10 anni per Augusto Gagliardo ed Antonio Magliulo, 6 anni per l’ex funzionario di Rfi Giulio Del Vasto e Luigi Russo, 4 anni e 3 mesi per Pasquale ed Antonio D’Abrosca, 3 anni di reclusione per Pietro Andreozzi e Guido Giardino. Altri 59 indagati, tra cui Nicola Schiavone, ritenuto dalla Dda un “colletto bianco” dei Casalesi e prestanome storico del capo del clan Francesco “SandokanSchiavone (di cui ha battezzato il primogenito Nicola), hanno scelto il rito ordinario e compariranno dinanzi alla Prima Sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente del collegio è Francesco Ciocia), ad inizio marzo. Le accuse vanno a vario titolo dall’associazione a delinquere di tipo mafioso, all’estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, corruzione, riciclaggio con l’aggravante della metodologia mafiosa ma anche rivelazione di atti coperti dal segreto delle indagini. Diversi i filoni dell’indagine della Dda di Napoli e della Dia, il più importante riguarda la figura di Nicola Schiavone, che per gli inquirenti sarebbe stato il trait d’union tra Rfi e il clan dei Casalesi sfruttando l’amicizia di lunga data con Sandokan.

Nell’indagine figura anche un capitolo sulla circostanza che Nicola Schiavone ha saputo dell’indagine a suo carico grazie alla rivelazione del segreto istruttorio; in questo filone sono coinvolti un carabiniere della Procura di Napoli, l’avvocato Matteo Casertano, che avrebbe rivelato la notizia dell’indagine al cugino imprenditore Crescenzo De Vito, che a sua volta avrebbe informato Nicola Schiavone; stessa accusa per il bancario Francesco Chianese (interdetto dall’attività per sei mesi), che per primo avrebbe avuto notizia dell’indagine rivelandola a De Vito. Nello staff di difensori c’erano tra gli altri Elia Rosciano, Antonio Ciliberti, Carlo De Stavola, Claudio Botti, Gianluca Giordano, Paolo Carrara, Angelo Mancino e Michele Tedesco.