‘Non ne bastava uno?’. E’ la domanda più ricorrente di questi giorni ed è chiaramente riferita alla possibile, quasi certa, apertura di un nuovo punto ristorazione di una nota multinazionale del fast food made in USA (almeno così proviamo in maniera vana a non fare pubblicità al brand per una questione di par condicio nei confronti delle altre attività del food beneventano).
La domanda viene posta dallo stesso attento cittadino che qualche anno fa, con fare triste e dimesso, commentava il fatto che ‘Benevento è l’unica città d’Italia dove ha chiuso il fast food made in USA’.
Se chiude la città è in agonia, in crisi economica e senza speranza, quella ‘calata di saracinesca’ è stata per anni un’onta che non ha nemmeno trovato riscatto negli anni a venire. Se nel giro di pochi anni si rischia di averne due, scatta l’attacco alla qualità del prodotto, alla sofferenza dei competitor e addirittura alla pessima educazione alimentare che si rischia di inculcare al prossimo.
Può essere capitato di leggere un post su Facebook, pubblicato da un ristoratore sannita che, a differenza di tanti, mostrava una certa felicità per l’apertura di un nuovo fast food, puntando senza vittimismo e con tanto orgoglio sul fatto che diventa questa un metro di paragone per mettere in risalto la qualità dei prodotti nostrani.
Mangiare bene o meno bene resta una scelta, come quella di aprire, uno, due, dieci fast food di massa. La pluralità dell’offerta e la libertà decisionale del cliente restano capisaldi dell’economia moderna. E poi c’è l’aspetto occupazionale che resta viatico fondamentale per la sopravvivenza della nostra terra: la città si spopola, valigia, treno e via a cercare fortuna lontano dalla terra natìa.
Se c’è una buona opportunità a domicilio (si parla di ulteriori 40/60 posti di lavoro) è comunque un segnale importante e, soprattutto, un modo per sentirsi ancora protagonisti a casa propria.