La decisione del governo Meloni sarebbe quella di depotenziarlo, ma non del tutto: solo leggermente. Si abbassa la percentuale del contributo statale, anticipando un percorso a scalare già previsto per il futuro.
Dal 2023 il superbonus dovrebbe scendere dal 110% al 90% per i condomini, e riaprire le porte, con la stessa percentuale, alle abitazioni unifamiliari, con un limite però: quest’ultime devono essere utilizzate come prima casa da proprietari che rientrino in una soglia di reddito, calcolata in base al quoziente familiare, che andrà stabilita nelle prossime settimane. I redditi oltre una certa soglia non ne avranno più diritto. Il debutto del quoziente nel sistema fiscale per misurare il reddito della famiglia sarebbe l’altra novità di rilievo: un primo passo per superare l’Isee (che l’Italia è l’unico paese al mondo a usare) destinato a finire in soffitta. Il quoziente familiare si calcola basandosi sul reddito familiare diviso per il numero di componenti, corretti per una scala di equivalenza. In questo modo, secondo coloro che spingono per la sua adozione, ci si avvicinerebbe a una maggiore equità rispetto all’Isee. Si introduce di fatto un criterio di reddito abbinato alla numerosità della famiglia. L’esame parlamentare potrà ovviamente cambiare questa aliquota.
Sul superbonus, che sarebbe dunque meno ricco rispetto alle prime ipotesi che lo davano ribassato ma solo fino al 100%, si basa un capitolo chiave della legge di bilancio nella proposta governativa al parlamento. Va ribadito che siamo ancora nel campo delle ipotesi.
L’attuale assetto normativo prevede lo stop all’incentivo già nel 2023 per le villette unifamiliari e gli immobili autonomi e la progressiva riduzione dell’incentivo anche per i condomìni. In questo caso la detrazione resterà del 110% nel 2023, per poi scendere al 70% nel 2024 e al 65% per il 2025. Il nuovo governo potrebbe anche decidere di rendere fruibile il superbonus solo per le prime case o in alternativa stabilire che per le seconde l’agevolazione sarà inferiore.