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di Valentina Scognamiglio

Una serenata, tante serenate. Questo il tema centrale dello spettacolo di Peppe Fonzo tenutosi ieri sera nel cortile della Rocca dei Rettori. Un dolce accompagnamento musicale di chitarra e fisarmonica e il cielo stellato a fare da cornice.

Le serenate, di diversa natura, sono un antichissimo modo di dichiarare il proprio amore. E cosa c’è per un artista di più importante al mondo dell’amore? Attraverso questo antico rituale Peppe Fonzo indaga l’amore nelle sue forme più disparate, ricambiato, ricambiato ma impossibile da vivere e infine il più tormentato ovvero quello non ricambiato. E così si susseguono racconti di diverse storie accompagnati da canzoni d’amore più o meno conosciute, alcune anche sannite, altre napoletane. Una finestra illuminata dalla quale ci si aspetta di vedere una delle donne protagoniste dei racconti affacciarsi, ma questo non accade perché per parlare d’amore a volte basta una sola delle parti.

Ma a cosa ci portano le serenate? A volte a nulla altre alla felicità e raramente all’infelicità di non riuscire a conquistare l’amore della nostra vita.

Un modo diverso questo di Fonzo di indagare l’amore perché spesso uno spettacolo di più di un’ora con un solo protagonista che esegue un monologo potrebbe risultare pesante, ma l’intervallare la narrazione con la musica tiene lo spettatore sempre in attenzione rispetto a quello che sta avvenendo sul palco.

Un’ora d’amore, risolto o tormentato. Un’ora per ripensare a quella volta che di sera, d’improvviso, una canzone d’amore ha attirato la nostra attenzione e allora ci siamo affacciati alla finestra e abbiamo visto un giovane uomo intento a cantare tutto il suo amore alla donna amata e forse, in qualche caso, quella donna siamo state noi.