Salerno – Ogni tanto il pensiero della pensione lo sfiora ed è felice di godersi la sua famiglia e i suoi cani come non ha mai potuto in vita sua. Ma poi quando arriva la telefonata di Christopher Nolan per andare sul set di Oppenheimer oppure la chiamata per la serie di Apple Slow Horses, ecco che il premio Oscar Gary Oldman riparte con la sua borsa nera “come una rockstar”, sempre pronto per un nuovo ruolo e una nuova avventura. Che lo assorbirà completamente visto che come racconta al festival di Giffoni, dove ha ricevuto il Premio Truffaut, non è un tipo da “tenere aperte 15 finestre sul desktop nello stesso momento”.
Sarebbe anche molto felice di lavorare in Italia, magari “con Paolo Sorrentino“. Ai ragazzi più grandi spiega che “le persone di una certa età come me prima o poi andranno in pensione e lasceranno il posto a voi che siete sangue nuovo e forza nuova. Voi siete il futuro, abbiamo bisogno di voi”. E aggiunge anche di “sentirsi parte di una grande catena. Lascerò a quelli che verranno dopo quello che qualcun altro ha donato a me”. E elettrizza anche i più piccoli innamorati di lui per l’indimenticabile Sirius Black interpretato nella saga di Harry Potter (di cui racconta scherzosamente che a casa serba “gli stivali”). Ricorda lo speciale rapporto che aveva con Daniel Radcliffe: “Un’amicizia molto dolce, era piccolissimo e io ero il suo attore preferito. Quindi era sempre tanto in ansia e timoroso. Abbiamo passato tanto tempo assieme e gli ho anche insegnato a suonare un po’ il basso. Anche gli altri erano bimbi straordinari e sono diventati attori eccezionali”. Su un altro grande personaggio storico da lui portato sullo schermo, Winston Churchill, gli viene chiesto cosa penserebbe della situazione politica di oggi: “Non so cosa farebbe, si sta rivoltando nella tomba”.
I Giffoner come al solito vanno dritti al punto e gli chiedono qual è stata l’esperienza più brutta della sua vita che poi con il tempo gli è stata utile. “Senza dubbio la cosa più tragica – racconta – fu quando mio padre lasciò la nostra famiglia. Io a 7 anni pensavo che se mi avesse amato di più sarebbe rimasto e soffrii da morire. Invece, poi, con le esperienze della mia vita ho capito che non amava più mia madre e non me. Spesso ho “riciclato” e riutilizzato nella mia carriera questa esperienza drammatica. Ho pensato a questa cosa quando Francis Ford Coppola mi ha chiesto non solo di piangere, ma di inondare lo schermo di lacrime. Una cosa non proprio facile, ecco, per farlo sono tornato bambino di 7 anni”. Ricorda ancora come il primo film della sua vita fu con le sorelle “A Hard Day’s Night”. “Avevo imparato la canzone – spiega – sentendola al rallentatore, non c’era internet… L’ho cantata a squarciagola facendole vergognare”. E anche il momento esatto in cui decise di fare l’attore: “Quando vidi con mia madre Malcolm McDowell in The Raging Moon, nella stanza entrò una luce e io capii. Mi ha cambiato la vita”.