Roma – Torna d’attualità il tema dell’ingiusta detenzione, una piaga che, purtroppo, è relativamente frequente in Italia. Parlare di questo aspetto, significa parlare di Mario Tirozzi, commerciante campano che ha subito un destino del genere: 653 giorni di carcere e 137 di domiciliari per non aver fatto nulla. Peccato che questo destino, il non aver fatto nulla, è emerso a distanza di tantissimo tempo. Troppo per un innocente.
Storia che è stata affrontata da Nicola Porro, nel corso della trasmissione ‘Quarta Repubblica’, una testimonianza utile a capire quali siano le problematiche legate alla giustizia italiana. E, quando questo accade, a pagarne le conseguenze sono le persone oneste.
“Sono entrato in cella da persona innocente – così inizia il suo racconto Mario – e da quel momento non conti più nulla, non sei più nessuno, se non un numero di matricola”.
Un calvario che è stato appesantito dalla prima scelta sbagliata e questa ha condizionato il percorso ma, in fondo, ci può anche stare, specie se non si è abituati ad avere a che fare con la legge. Ci si fida delle persone e si accettano cose che, invece, non andrebbero accettate.
“Aver acconsentito al rito abbreviato ha rappresentato l’errore più grave e proprio per questa scelta, il mio avvocato Antonio Maio (diverso dal precedente, ndr) mi aveva preparato a un’eventuale condanna. Cosa che è poi accaduta con una pena di sette anni inflitta in primo grado. Pena scaturita da intercettazioni telefoniche, per la maggior parte. Si parlava di soldi, pagamento di fiori, con una grande azienda olandese. Per i giudici non potevo non sapere quale finalità avessero quei soldi e che attività portasse avanti quell’azienda. Ho solo parlato con alcune segretarie ma per loro non è scattata alcuna indagine. L’aver accettato il rito abbreviato non mi ha permesso di dimostrare pienamente la mia innocenza”.
Ma la storia non poteva finire così e l’Appello ha dato ragione a Mario Tirozzi, scagionandolo completamente. Una vittoria di Pirro, però, perchè intanto la sua vita è stata distrutta, dal punto di vista economico e lavorativo. Azienda fallita e ricostruzione della propria persona dal niente. Eh sì, perchè quando un’etichetta ti viene attaccata addosso, poi è difficile scollarla via.
“Mi sono fatto la mia idea: in Italia prima di arrestano e poi cercano le prove. E sinceramente è triste, perchè nessuno mi ridarà indietro il tempo lasciato tra le quattro mura in questa lunga esperienza, nessuno potrà mai risarcirmi del dolore vissuto da innocente nè di quello impiegato per ricostruire la mia figura”.
Una figura da rimettere in sesto: l’arresto gli dato notorietà, non voluta ovviamente. L’innocenza, è passata sotto silenzio.
“Sono diventato famoso grazie ai giornalisti, si parlava di commerciante che nascondeva fiumi di droga. Per le persone sei colpevole, i giornali ti fanno i processi prima. Dopo l’assoluzione l’eco è stata minore e nessun giornale o trasmissione, fatte le dovute e minime eccezioni, ha ripreso questa notizia, perchè forse non faceva notizia”.
Oltre a questo, comunque, è arrivato anche il riconoscimento economico, ma anche in questo caso, nella giustizia, c’è qualcosa che non quadra. Si ragiona per valori prestabiliti da assegnare a giorni di detenzione sofferti. Manca la parte dedicata ai danni collaterali subiti. Ma riprendiamo le parole di Mario Tirozzi dette precedentemente: quando entri in carcere non sei nessuno, sei una matricola. Quando esci sei semplicemente un calcolo matematico, una pacca sulle spalle e un semplicistico ‘mi dispiace’ (che forse non è stato neanche detto).